Scrigno di bellezza e umanità
Quante volte papa Francesco ci ha ricordato che non dobbiamo vivere una religiosità «da sacrestia»! E quante volte anche noi abbiamo usato la sacrestia come simbolo di una fede bigotta, condita magari di clericalismo e di un pizzico di pettegolezzo. Ma lei, la sacrestia, non ha alcuna colpa… Come sempre accade, infatti, i luoghi, gli oggetti, le situazioni non sono quasi mai di per sé negativi o positivi: è il contesto, l’intenzione, l’utilizzo che se ne fa a renderli buoni o cattivi per la nostra vita.
E così, pure la sacrestia è in realtà luogo degnissimo. Anzi, luogo, verrebbe da dire, «santificato» quasi dal suo compito: qui, infatti, i celebranti si preparano per la Santa Messa. Qui indossano i paramenti sacri, si concentrano nel silenzio ed entrano in quella predisposizione d’animo che consentirà loro di farsi strumento nelle mani del Signore durante la liturgia. E, sempre qui, capita che magari scambino qualche battuta con i ministranti (i chierichetti, come si chiamavano una volta), unici ammessi in sacrestia poco prima che cominci la celebrazione eucaristica.
La sacrestia è un po’ il «cuore» di ogni chiesa. Rappresenta, volendo fare un paragone forse un po’ azzardato, ciò che la cucina è in una casa: la stanza in cui si prepara il nutrimento (la Parola spezzata e l’eucaristia), quella in cui ci si ritrova in libertà e in piena verità tra persone care, intime. Anche la Basilica di sant’Antonio ha ovviamente la sua sacrestia. È un luogo ampio, perché spesso vi confluiscono decine di sacerdoti che qui si preparano per presiedere alle celebrazioni più solenni.
E, come sempre accade nelle chiese che hanno una storia lunga, è anche un luogo ricco di bellezza e di opere d’arte. A partire dalla statua in marmo di Carrara che ne sovrasta il portale d’ingresso, opera dello scultore Giovanni Bonazza, datata 1708, e che raffigura Sant’Antonio con il Bambino Gesù. Oppure dal piccolo bassorilievo marmoreo con san Francesco e sant’Antonio, opera di Giovanni e Antonio Minello (fine XV secolo). O i due affreschi, datati 1518, firmati da un pittore della cerchia di Gerolamo Tessari, che si trovano sulla parete meridionale, e rappresentano Sant’Antonio che predica ai pesci e il Miracolo del bicchiere. O, ancora, la Vergine con Gesù bambino tra sant’Antonio e san Francesco, opera della seconda metà del XIII secolo, che si trova nella lunetta sopra una porta che ora è murata.
Anche le volte dei soffitti sono particolarmente belle: quelle dell’atrio hanno ogive a tortiglioni di terracotta (probabilmente in origine questa era la copertura dell’intera sacrestia). La volta a botte dell’interno, invece, è stata affrescata nel 1655 da Pietro Liberi e raffigura la Gloria di sant’Antonio con la Vergine e Gesù Bambino. Altra «chicca» è il meraviglioso armadio a muro intarsiato, opera di Bartolomeo Bellano e Lorenzo Canozi, risalente alla fine del 1400.
Non solo arte
A prendersi amorevole cura della sacrestia della Basilica è, dal 2008, fra Ambrogio Gatti. «Essere al servizio della sacrestia – ci confida –, è un’opportunità bella, perché, oltre che a mettersi a disposizione per il servizio liturgico, dà la possibilità di incontrare diverse persone provenienti da ogni dove e raccogliere testimonianze e confidenze che ti lasciano meravigliato per le grandi cose che sa operare sant’Antonio». E c’è da scommettere che in oltre quindici anni di servizio fra Ambrogio in sacrestia di persone ne abbia incontrate davvero molte, ma il loro ricordo, con la discrezione che lo contraddistingue, preferisce serbarlo nel cuore.
«Dalla sacrestia – aggiunge solamente – non passano soltanto semplici sacerdoti provenienti da varie parti del mondo, portando ognuno la propria fede, la propria cultura e i propri riti (e tutti si sentono fortunati e onorati di poter celebrare in Basilica, onorando a loro volta sant’Antonio). Nel tempo, infatti, essa è stata anche luogo di passaggio di vari santi. Tra i più recenti e conosciuti, Massimiliano Kolbe, Leopoldo Mandic, papa Giovanni XXIII, papa Giovanni Paolo II, papa Paolo VI. Abbiamo anche un registro sul quale appongono le loro firme personaggi politici e dello spettacolo che si sono fermati in sacrestia: tutti lasciano sempre uno scritto, un pensiero, al caro Santo».
«Quando si nomina la sacrestia di una chiesa – conclude fra Ambrogio – si pensa sempre a un luogo dove i sacerdoti indossano i paramenti per la celebrazione della Santa Messa o delle varie funzioni, ma la sacrestia del Santo è molto diversa… Ossia, anche qui ci sono i paramenti sacri, ma sacerdoti e pellegrini notano subito la solennità del luogo e rimangono attratti dai quadri, dall’affresco del soffitto o dagli armadi intarsiati del 1400 raffiguranti santi francescani e padovani. In sacrestia, poi, si conservano, oltre ai paramenti liturgici, dei preziosi ricami, come le tovaglie che nelle varie festività vengono messe sugli altari e sono veramente dei capolavori di ricamo fatti con grande fede e devozione dalle figlie di San Giuseppe. Abbiamo anche una pianeta preziosissima, ricamata dall’imperatrice d’Austria, Maria Teresa. Perché questa sontuosità? Perché fino al 1745 (anno in cui fu terminata la Cappella del Tesoro), qui erano conservate le importanti reliquie del Santo e anche quelle di altri santi».
Insomma, la sacrestia della Basilica è un vero scrigno di arte e di bellezza. Ma anche di umanità, quella espressa da coloro che ne varcano la soglia con emozione, perche si apprestano a celebrare, accanto ad Antonio, la Santa Messa. E quella di chi di questo luogo si prende cura, con semplicità ma con un amore grande.
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