A scuola con il robot

Roberto Masini, impiegato comunale di Rimini con la passione per la robotica e la psicologia, ha progettato un robot che insegna ai bambini a credere nelle proprie idee.
18 Gennaio 2025 | di

Per Roberto Masini, quarantenne riminese, l’interesse per la robotica ha caratterizzato tutta l’adolescenza: una curiosità entusiasmante che ne ha alimentato la fantasia, muovendosi in parallelo a un’altra sua passione, quella per la psicologia infantile. Oggi Roberto lavora al Comune di Rimini, ma da autodidatta è stato in grado di realizzare quel sogno d’infanzia, nato dall’unione di due vocazioni a prima vista distanti, che gli hanno permesso di fondare una scuola per piccoli inventori, proprio com’era lui da bambino. Nel suo colorato laboratorio, tra carcasse elettroniche, circuiti e bulloni, i suoi studenti possono mettere a frutto concretamente la propria creatività, imparando a dare nuova vita agli oggetti. «Dopo la laurea in Psicologia, ho deciso di aprire una scuola per giovanissimi dai 7 ai 13 anni che amano inventare – spiega Roberto –. L’ho chiamata MecWilly, come il robot umanoide che ho costruito nel 2010 con materiali di recupero». Un’idea eccezionale che ha subito attirato l’attenzione dell’amministrazione comunale di Rimini, tanto da «assumere» tra gli impiegati proprio quel piccolo robot, come addetto all’accoglienza e in ausilio agli utenti dell’anagrafe. «Inizialmente Willy è diventato un mio collega al Comune, poi, dopo alcuni perfezionamenti, è salito di ruolo, diventando il docente della mia scuola. Adesso è lui a tenere lezioni molto interessanti di elettricità e ingegneria, insegnando il riuso tecnologico, ovvero come inventare nuovi oggetti partendo da altri oggetti comuni e interrogando persino i suoi piccoli studenti».

L’importante è crederci

L’obiettivo di Roberto è aumentare la fiducia dei ragazzi nelle proprie idee, perché progettare significa dar libero sfogo alla fantasia attraverso la condivisione di una passione comune. Inoltre, sotto l’occhio vigile del robot, i piccoli inventori possono partecipare a tanti divertenti laboratori pratici, ascoltando anche le spiegazioni teoriche di quello che per loro è, ovviamente, un docente «speciale». In classe a Roberto spetta soltanto il ruolo di «assistente umano», soprattutto quando è il momento di sistemare le braccia mobili del suo capolavoro tecnologico o intervenire in caso di necessità tecnica. Le abilità didattiche sono però tutte di Willy che, con la sua voce metallica, incoraggia gli alunni a progettare senza temere giudizi o voti. 

«L’importante è crederci – sottolinea Roberto –. Da bambino ero affascinato dalla tecnica. Amavo smontare qualunque oggetto, ne recuperavo i pezzi e li utilizzavo per costruire altre cose. Il mio primo progetto venne fuori da una vecchia segreteria telefonica anni ’70». Sui banconi del laboratorio, sono a disposizione dei ragazzi anche i fumetti nati dalla penna di Roberto, alcune pagine cariche di umorismo che raffigurano il geniale Willy intento a rassicurare con gentilezza tanti altri buffi personaggi; non possono mancare poi le numerose invenzioni di gioventù, che fanno oggi parte di un piccolo museo associato alla scuola: «Si tratta di idee saltate fuori dalla mente di un bambino pieno di passione, che servono come prototipi per le invenzioni di altri bambini. Proprio come il mio temporizzatore, uno strumento utile ad accendere e spegnere automaticamente altri dispositivi senza la presenza umana. Per costruirlo ho utilizzato la scatola esterna di un orologio, qualche condensatore e gli interruttori di un asciugacapelli». 

«Così ho dato vita a Willy»

Ogni pomeriggio, abbandonate le vesti di impiegato comunale, Roberto si reca alla sede della sua scuola per attivare Willy, con il quale collabora nella realizzazione di tante nuove invenzioni, proprio come faceva da bambino quando, dopo la scuola, si rinchiudeva nella sua cameretta adibita a laboratorio: «All’epoca avevo una scatola rossa di cartone che tenevo nell’armadio, progettata utilizzando il contenitore di una sveglia e alcuni led per renderla luminosa: è stato il mio primo laboratorio in miniatura», continua. Durante le medie, Roberto decide di osare di più, spinto dal sogno di inventare un vero robot, simile agli androidi visti nei suoi film preferiti, quelli di fantascienza: «Si trattava di un obiettivo più complesso, per il quale occorrevano tanto studio e tanta pazienza. Non mi sono però mai arreso. Avevo già realizzato un primo robot con una scatola di sigari del mio babbo, a cui avevo incollato le schede elettroniche di un allarme dei miei nonni. Purtroppo, però, non si muoveva e i circuiti erano solamente ornamentali. Ne ero comunque orgoglioso, anche se desideravo creare qualcosa di più efficiente».

Roberto inizia allora a disegnare il suo progetto, dedicandosi prima all’assemblaggio del corpo, per il quale va alla ricerca di carcasse di vecchi monitor per il busto e avvitatori per le braccia: «Per farlo muovere volevo utilizzare delle ruote, perché sembrava la cosa più facile rispetto a delle vere gambe robotiche, ma il problema era motorizzarle. A 17 anni non era semplice capire alcune questioni tecniche senza l’ausilio di un esperto», afferma. Poi, dopo anni di tentativi a vuoto, Roberto giunge alla creazione del suo primo vero androide. «A circa 20 anni avevo imparato a utilizzare i motori che smontavo dai lettori di floppy disk. Nacque così Jeremy 14, che potremmo considerare il babbo di Willy. Il numero associato al suo nome era collegato al fatto che fosse il quattordicesimo robot che tentavo di realizzare. Lo comandavo tramite il computer e poteva assumere anche delle espressioni facciali».

Tanti anni ancora di studi amatoriali gli serviranno per dare un’anima al suo più importante capolavoro, il super efficiente MecWilly, un robot alto 1 metro e 20 con un corpo completo e capacità «intellettive» superiori. «Mec sta per dispositivo meccanico, mentre Willy è semplicemente il nome del mio cane – prosegue Roberto –. Il busto di alluminio è fatto con la carcassa di un vecchio modem anni ’80, gli occhi invece sono delle palline da ping-pong». Da quel momento Willy è diventato per Roberto quasi un componente della famiglia, tanto da accompagnarlo persino al Comune per trasformarsi in impiegato robot: «In origine, Willy era un addetto che forniva indicazioni ai cittadini sulla posizione degli uffici e sul materiale occorrente per il rilascio di certificati. Aveva compiti comunque molto importanti».

Un robot-professore 

Dopo la gavetta al Comune, Willy «si specializza» nell’insegnamento, coinvolgendo un gruppo di studenti nella realizzazione pratica dei propri progetti creativi. «Qualche anno dopo aver creato Willy – prosegue Masini –, ho iniziato una collaborazione con la facoltà di Psicologia dell’Università di Bologna. Il fine era verificare se i robot potessero facilitare l’apprendimento nelle scuole. Il mio aveva infatti delle capacità sorprendenti e poteva diventare molto utile per la didattica». Da quel momento alcuni istituti hanno creduto nelle idee di Roberto, offrendogli la possibilità di usufruire delle proprie aule per svolgere qualche ora di laboratorio con l’utilizzo di Willy. «Nonostante la soddisfazione, per me non era però abbastanza, perché mancava il gusto di recarsi “nell’antro” del vero inventore – conclude Masini –. Serviva la magia di quando io ero bambino e guardavo i miei film preferiti, quelli che alimentavano la mia passione. Ho deciso allora di fondare la mia scuola, un luogo magico dove mettere all’opera il mio vecchio Willy». E difatti, con il metodo didattico gestito dal piccolo robot, i giovani inventori non si distraggono mai, perché attratti dalle sue interessanti spiegazioni tecniche, ma soprattutto felici di poter condividere e sperimentare in piena libertà: «In questo senso, il piccolo Willy è un vero maestro di vita. Lui non parla la lingua difficile e accademica dei professori, ma quella magica di tutti i bambini del mondo».

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Data di aggiornamento: 17 Gennaio 2025
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