16 Luglio 2021

Se Dio vuole

Una giovane canadese, ostetrica in un campo profughi cisgiordano, si scontra con la realtà della guerra nel film «Inch’Allah» (Canada-Francia 2012).
Se Dio vuole

Chloé, un’ostetrica del Quebec, una bella ragazza single, fa la spola ogni giorno, superando pericolosi posti di blocco, tra Israele e la Palestina, dove presta la sua opera in una clinica per la salute femminile, una clinica situata in un campo profughi della Cisgiordania gestito a Ramallah dalla «Mezzaluna Rossa», l’equivalente della Croce Rossa internazionale. Chloé ha un’amica israeliana, Ava, che lavora come militare proprio nei check-point attraverso cui i frontalieri transitano ogni giorno. Tra momenti serali di svago e impegni lavorativi, le due ragazze si scambiano confidenze sui loro ambivalenti vissuti: l’orgoglio professionale, l’affetto per quelle terre martoriate, la ripugnanza per la quotidiana violenza di frontiera, la pietà per i poveri.

L’impegno dell’ostetrica trasforma la relazione terapeutica in legami d’amicizia, come quello che s’accende tra Chloé e la famiglia palestinese di Rand, una straccivendola che attende gioiosa il suo bambino, mentre il marito è detenuto in attesa di giudizio. Inizialmente Rand accetta con sospetto e fatica l’aiuto di un’ostetrica occidentale, anche perché la copisteria di Faysal, il fratello maggiore di Rand, sostiene la resistenza armata. Col passare dei giorni, Chloé apprende una nuova prospettiva morale e politica, si identifica con il disagio delle sue pazienti e parteggia per i loro diritti soffocati. Chloé e Rand si scambiano doni e favori al limite di ciò che la legge d’occupazione consente. Ma la tensione politica mette a dura prova gli affetti più teneri, diminuisce l’efficienza dei presìdi medici e fomenta l’ira degli abitanti più bisognosi. Quale posizione morale assumerà Chloé? 

Popolo sotto assedio

La verità morale di un film traspare, più che dalle parole, dalle immagini e qui, nel film Inch’Allah (Canada-Francia 2012) di Anaïs Barbeau-Lavalette, l’immagine più eloquente e angosciosa è quella del muro, la contestata barriera di separazione costruita da Israele in Cisgiordania a partire dal 2002. Una muraglia grigia interminabile, squallida e inverosimile come un’apparizione aliena. Una colata di cemento, reticolati e spie elettroniche, la quale doveva rappresentare una semplice chiusura di sicurezza contro il terrorismo e che diverse agenzie hanno invece qualificato come architettura d’apartheid razziale. Questo assedio non contiene, ma anzi incrementa il risentimento popolare.

A ridosso del muro (seconda immagine) un bambino magro e testardo, vestito da supereroe con miseri stracci, gioca tra le sporcizie lasciate dai coloni, lì dove le donne palestinesi cercano qualcosa di utile, un vestito, un attrezzo, un giocattolo. Il bambino è Safi, il fratello minore di Rand. Safi va a caccia di sassi e ne riempie il suo zainetto, divenuto ormai troppo pesante. Che cosa ci fa con le pietre? Picchia sul muro, scava un improbabile pertugio, apre un buco per immaginare un altrove proibito, per dischiudere al suo occhio un mondo senza odio, senza bombe, senza violenze. Un mondo con un albero grandissimo e un altro più piccolo che gli cresce vicino. È anche l’occhio del cinema, l’obiettivo della macchina da presa, il desiderio di una visione libera, curiosa e pacifica.

La terza immagine, che troviamo nella sequenza che apre e chiude circolarmente la pellicola, è quella di un piccione in gabbia, che ci guarda col suo occhio rotondo, giallo, fisso, spaventato e terribile. Un altro occhio in allarme. Un’altra videocamera di sorveglianza. Un altro becco pronto a colpire o a venire sgozzato. Prima dell’esplosione udiamo le voci del mercato, il suono allegro di una fisarmonica ebraica. Notiamo un bambino israeliano con la sua kippah (il copricapo rituale) colorata passeggiare ignaro e ricevere uno spintone da una ragazza dai capelli sciolti, che porta un misterioso zainetto grigio e ordina un caffè al bar, mentre si mette il rossetto sulle labbra. Non vediamo quel volto di donna, ma le sue mani girano nervosamente il cucchiaino nella tazzina, come se aspettasse un evento definitivo.

 

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Data di aggiornamento: 16 Luglio 2021
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