Sociale e leadership
La comunità di Capodarco ha festeggiato di recente il suo mezzo secolo di vita. Fondata nel 1966 da tre animosi giovani preti e da alcuni handicappati di ritorno da un avvilente pellegrinaggio a Lourdes, rivendicò condizioni di vita decenti per coloro che la sorte aveva in qualche modo tradito ed emarginato.
La sua storia si legò immediatamente alla storia di quel «Sessantotto dei cattolici» che sopravvisse al Sessantotto degli studenti, lacerato dalle divisioni ideologiche e dalla sua fragilità o stupidità. Capodarco ha avuto un’importanza enorme nel mutamento delle condizioni di vita degli handicappati, grazie alle battaglie condotte sul piano politico e mediatico dal movimento che si creò intorno alla prima comunità, a due passi da Fermo, e soprattutto grazie all’organizzazione e diffusione di comunità che li accogliessero, alcune delle quali si resero autonome e presero strade particolari pur rimanendo legate con le prime nate.
Posso testimoniare di persona, frequentandola da almeno trent’anni, di aver visto rifiorire anche handicappati molto gravi (non i malati psichiatrici gravi) fuori da famiglie che se ne vergognavano o li iperproteggevano, dentro case accoglienti dove si incontravano e mescolavano obiettori e volontari a capaci curatori e accompagnatori. Ho conosciuto famiglie miste, giovani che hanno potuto provare le gioie di una vita affettiva e anche fisicamente piena, insolite e talvolta splendide coppie di rara solidità e saggezza.
Più in generale, grazie a nuove leggi accolte nel sistema di welfare che vigeva fino a qualche anno fa, prima della crisi e delle viltà politiche che la crisi ha prodotto, la condizione dei «diversamente abili» è radicalmente mutata (e forse l’unico gruppo sociale che ha visto altrettanto mutata in meglio la sua condizione è quello dei gay).
Oggi Capodarco è a una svolta: la crisi del welfare ed economica in generale, le ondate migratorie, la deriva della democrazia, la globalizzazione, la finanziarizzazione dell’economia, le nuove tensioni che mettono a confronto stili di vita e fedi diversissime e rendono più difficile ogni dialogo, pone tutti di fronte a un mondo mutato in profondità.
Si assiste a una generale regressione nelle condizioni di vita dei non privilegiati. Anche i «diversamente abili» ne risentono, e il movimento che li riguarda se ne rende conto. Che fare? Come rimettersi in moto di fronte a nuovi compiti di difesa e di proposta?
Il discorso è lungo, ma per quanto riguarda le iniziative che come Capodarco sono presenti nel «sociale», mi pare si viva anche una crisi di leadership. Ho conosciuto «maestri» (e fondatori di comunità e associazioni) che, troppo preoccupati del proprio ruolo, non hanno prodotto allievi autonomi, in grado di sostituirli egregiamente e al passo con le necessità dei nuovi tempi, e ho conosciuto maestri e leader che hanno soprattutto mirato a fare dei propri collaboratori dei dipendenti (qualcuno dei cloni). La sopravvivenza attiva e creativa di Capodarco, come di tante altre associazioni e comunità benemerite, dipende anche da questo, dal modo di mettersi in discussione dei suoi fondatori, dando spazio a chi lavora con loro.