Soffio vitale
Che cosa ci rende veramente umani e ci differenzia da tutti gli altri esseri viventi? E dalle macchine sempre più perfette che abbiamo imparato a costruire e che stanno imparando a pensare da sole? È una domanda alla quale pensatori di tutti i tempi hanno dato risposte diverse, ma forse oggi potremmo dire: lo spirito che ha a che fare, prima di tutto, col respiro: spirare, in latino, significa soffiare. Nell’Antico Testamento è il termine onomatopeico rúach a indicare il soffio vitale come fiato, vento e ispirazione divina.
Paul Valéry, grande pensatore del ‘900, definiva lo spirito come una capacità di trasformazione, come una qualità che si oppone alla ripetizione e al calcolo, una potenza che allarga il nostro sguardo oltre al dato di fatto e ci connette all’unità di tutte le cose. Che ci aiuta, come scriveva William Blake, a «vedere il mondo in un granello di sabbia e l’eternità in un’ora». Che ci libera dalla misura stretta dell’efficienza, di ciò che deve funzionare, della strumentalità, e ci regala un orizzonte ampio che dilata il respiro. Angoscia, angustia sono i sentimenti che proviamo quando tutto è ingabbiato, stretto, corto. Quando sentiamo che ci manca il respiro. Lo spirito è condizione per coltivare la speranza, il desiderio di futuro laddove la realtà sembra non lasciare alternative. Lo spirito è condizione di libertà. E l’estate è un buon momento per coltivare lo spirito, con la lettura, la contemplazione, l’immersione nella natura, la meditazione, la preghiera.
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