Tra nuvole di alpaca e trolley (parte I)
Premessa
Sei presidenti negli ultimi quattro anni. Un Paese avvolto in una rete inestricabile di corruzione. Un Paese spezzato in due: la borghesia urbana, meticcia e bianca, e le popolazioni indigene, povere e marginali, del Sud del Perù. Lo scorso 7 dicembre, Pedro Castillo, un maestro eletto presidente un anno e mezzo prima con i voti della gente delle Ande, incapace di governare (ha cambiato settantasei ministri durante il suo mandato), ha cercato di dissolvere il Parlamento, ma, dopo aver tentato la fuga, è stato arrestato. Alla notizia della destituzione di Castillo, è esplosa la rivolta del Sud del Paese. Sono state bloccate le strade, le stazioni, gli aeroporti. In migliaia hanno marciato su Lima. Cinquantacinque persone, in buona parte ragazzi, sono state uccise nelle battaglie con polizia ed esercito. In sette regioni del Perù mancano cibo, carburante, medicine, acqua potabile. Il popolo delle Ande grida: «Que se vayan todos». (Greta Semplici è un’antropologa fiorentina. Nei giorni della rivolta si trovava nelle Ande di Cusco).
Andrea Semplici
«Lucha indefinida»
«Lucha indefinida». Sono le sole due parole che riesco a capire dalla radio Marangani, provincia di Sicuani, sud del Peru. Sono le 5 di mattina del 13 dicembre. Ancora avvolta da strati di mante di lana di alpaca, guardo il cielo color latte dell’alba della Puna, dalla piccola finestra in plastica rafforzata contro il gelo della notte. È un’abitazione di una sola stanza dove tutta la famiglia dorme, con muri spessi in cemento, costruita grazie a un programma governativo per migliorare la condizione di vita dei pastori andini. Le piccole case in pietra di tradizione Inka sono divenute magazzini o dispensari, oppure case per i periodi di transumanza che quasi invisibili punteggiano le creste dorate delle montagne andine.
Griselda, la pastora che mi sta ospitando, non si separa mai dalla radio, anche durante le tempeste di grandine, quando il pericolo dei fulmini, ai 4.900 metri dove risiede il suo gregge questo periodo dell’anno, si percepisce sulla pelle, ti vibra addosso assieme ai boati del cielo divenuto nero in un istante. Ieri sono cominciati gli scioperi e le proteste per la caduta del governo Castillo. L’ironia dei primi giorni, in cui quello che sembrava un auto golpe poteva fare sorridere, si è trasformata in una rivolta popolare del campo, delle montagne, delle comunità rurali, private del loro primo presidente. Il presidente contadino.
Gli scioperi sono stati annunciati, ma i proclamati tre giorni di blocchi delle strade, dei mercati, degli aeroporti, dei villaggi, delle città hanno velocemente assunto un orizzonte temporale indefinito. «Paros indefinidos» continua il manifestante intervistato alla radio. Si continua finché non sono assicurate nuove elezioni, e il governo attuale, considerato illegittimo, non viene dimesso. Il resto della emissione radio è in lingua Quechua, ma riesco ad intuire che non sarà facile scendere dalla montagna. Probabilmente il camion passeggeri che ci ha portati quassù, vicino al cielo, tra nuvole di alpaca e neve, ieri alle 4 di mattina, è stato l’ultimo. Già dalle 6 era tutto bloccato. (Continua…)