Tra nuvole di alpaca e trolley (parte V)
Ci sono tratti interminabili di questo cammino. Le moto sembrano sparite. La stanchezza dei passi si vede nella disperazione di alcuni sguardi, che cercano una meta che non appare mai all’orizzonte. Alcuni dei blocchi sono più duri. Lo si vede dagli occhi dei manifestanti. Lo si respira nel silenzio che avvolge il nostro passaggio. Sicuani, Tinta, Combapata, sono alcuni dei pueblos da cui non si passa, se non in religioso silenzio. Non incontriamo nessuna moto perché spie sparse per i paesi andrebbero a distruggerle un secondo dopo che sono state avvistate. Nessun tipo di negozio è concesso. Al miraggio di un cartello con su scritto a mano «jugo de manzana», la signora nascosta dietro il bandone ci dice di entrare velocemente. Se la vedono che sta lavorando, non partecipando allo sciopero nazionale e universale indetto dai manifestanti, le possono devastare il negozio. E poi ci sono le ronde campesine, che multano le famiglie se non partecipano alle rotazioni per stare sulla strada, nei picchetti.
Quello che mi infastidisce di più è la gente di città scesa in mezzo al popolo contadino tenendo comizi che trattano di altre lotte con un linguaggio lontano dalla terra e dal campo. Giovani del partito che si mescolano ai campesinos, incitano, mobilitano: la loro voce vibra aggressiva e scurisce il vento. Una signora bianca, cicciottella, capelli castano chiari, corti, sollecita la necessità di decolonizzarsi. Come si dirà decolonizzazione in Quechua? Si mescolano lotte distinte. Interessi distinti. Priorità distinte.
Quello che mi è piaciuto di più è un bambino di 5 o 6 anni che ha condiviso con me gli ultimi 20 chilometri di cammino. Le sue canzoni, le sue bizze, la sua convinzione che dentro il mio grande zaino ci fosse una casa e la ripetuta richiesta di accamparci, ci ha fatto sorridere. Il ricordo più bello: l’abbraccio con la sua giovane madre. Ci siamo aiutate, motivate, stimolate a vicenda in questo lungo cammino. La verità è che in questa lunga strada di passi, di contraddizioni, di aiuto reciproco, di dibattiti, pensieri, silenzi… non ci ho capito niente. Spero solo che il sud di questo Paese enorme, con le sue montagne, i suoi alpaca, le patate, il mais, i pascoli, non torni invisibile dentro la nebbia andina.
Puoi leggere la prima parte del racconto qui, la seconda qui, la terza qui e la quarta qui!