Tracce di memoria
Chi entra in Basilica, prima ancora di dirigersi verso l’Arca di sant’Antonio, non può che rimanere colpito dalla grande stratificazione di arte e di storia che il santuario raccoglie e di cui non finiamo di sorprenderci. Una vera miniera, legata alla devozione e alla pietà, progressivamente cresciuta in quella chiesa che fin dagli inizi è stato il luogo dell’identità religiosa di Padova, il «santuario cittadino» che la città stessa ha voluto erigere al frate minore portoghese. Tra queste opere trovano spazio anche molti monumenti sepolcrali; infatti, da quando, verso la metà del Duecento, anche le chiese dei frati minori vennero autorizzate ad accogliere tombe, la corsa per accaparrarsi un posto non finì mai. Il fatto di essere quanto più possibile vicino alla tomba del Santo, l’amicus Dei, diventava garanzia di protezione e di assicurazione nell’intercessione per la vita eterna. Quando, poi, non c’era posto nella chiesa, supplivano anche i chiostri del convento, nei quali si trovano molte lastre e lapidi di varia provenienza: pietre che parlano di vita vissuta e di vita sperata.
Tra le figure che hanno lasciato memoria di se stessi nella Basilica si annoverano eminenti docenti e uomini di cultura, a testimoniare il legame presente tra il mondo universitario e intellettuale e la realtà basilicale. Tali rapporti nacquero fin da subito: l’Università di Padova ha celebrato nel 2022 i suoi ottocento anni di vita, quindi la sua istituzione è avvenuta nello stesso periodo della prima presenza dei frati minori a Padova. È noto che a chiedere la canonizzazione di frate Antonio aveva concorso anche la turba studentium (folla di studenti) che proprio nel 1222 da Bologna si era trasferita a Padova, luogo che garantiva una maggiore libertà nell’insegnamento e nell’organizzazione delle incipienti scuole universitarie. Era una cultura che usciva dal mondo dei monasteri e che toccava la città, presentando domande che interrogavano non più solo i monaci, ma anche i laici. I frati minori, il cui «chiostro» era il mondo stesso (cfr. Fonti Francescane 2022), non potevano non entrare in dialogo con queste domande. Francesco d’Assisi vi fu quasi costretto, incaricando frate Antonio di mettere a disposizione la sua cultura teologica, taciuta fino alla predica di Forlì, per formare i frati nel compito di una predicazione che oltrepassasse la semplice esortazione alla conversione.
È su questo sfondo culturale, oltre che devozionale, che possiamo comprendere i vari monumenti dedicati a persone del mondo della cultura presenti nella Basilica. Ne ricordiamo alcuni. Entrando in Basilica, nel primo pilastro a sinistra, si erge il monumento, opera di Vincenzo e Gian Matteo Grandi, dedicato al padovano padre Antonio Trombetta (1436-1517), frate del convento del Santo, noto docente di filosofia e teologia presso l’Università patavina, poi vescovo di Urbino, che nel testamento ricordava la sua intensa devozione a sant’Antonio. Parallelamente, nel primo pilastro a destra, troviamo il monumento marmoreo per Simone Ardeo (1472-1537), parimenti docente universitario. Inoltrandoci nella navata di sinistra, prima dell’Arca, incontriamo il bellissimo mausoleo, opera di Pietro Lombardo, dedicato ad Antonio Roselli (1381-1466), giurista aretino, monarca sapientiae, come recita l’epigrafe. Superando la cappella dell’Arca e sfociando in quella della Madonna Mora, un altro fortunato defunto riuscì a posizionarsi vicino alla tomba di Antonio: è il monumento, visibile da entrambi i lati, qui trasferito dopo il rifacimento del coro, del piacentino Raffaele Fulgosio (1367-1427), giurista, attivo nel concilio di Costanza, stupore nel diritto, come dice la lapide.
Torniamo, però, nella navata centrale della Basilica, segnalando due monumenti particolari di figure collegate alla cultura universitaria padovana. Sul terzo pilastro a destra, il monumento dedicato a Pietro Bembo (1470-1547), opera di Donato Cattaneo. Personalità di grande rilievo nella cultura umanistica tra Quattro e Cinquecento, che ha contribuito a codificare l’italiano scritto – più discutibile dal punto di vista religioso –, venne nominato cardinale nella tempestosa Roma del periodo precedente il Concilio di Trento. L’epitaffio in sua memoria è citato con ammirazione da Goethe nei Ricordi di un viaggio in Italia: «Il busto del cardinale Bembo, di figura espressiva, meditabonda, con una folta barba, trovasi collocato fra due colonne di ordine ionico».
È obbligo poi ricordare un unicum nella serie di monumenti presenti in Basilica: quello dedicato a Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (1646-1684), incastonato nel terzo pilastro a sinistra della navata centrale. Un busto, opera di Giovanni Bonazza, ricorda la prima donna laureata in filosofia nell’Ateneo patavino (1678); la sua richiesta di laurearsi in teologia trovò invece il rifiuto del cancelliere dell’Università, il vescovo Gregorio Barbarigo. Oblata benedettina, è sepolta nella basilica di Santa Giustina, ma il suo ricordo vive anche nella Basilica del Santo, tra le figure degne di memoria. Per chiudere la rassegna (di certo limitata) dobbiamo fare un salto nel chiostro del Capitolo (o della Magnolia). Sopra il cancello della portineria si erge una delle più belle arche presenti nel complesso antoniano. Riccamente elaborata, con lacerti di affreschi restaurati recentemente, raccoglie le spoglie del giurista di origine forlivese Raniero Arsendi (fine sec. XIII-1358), chiamato a Padova nel 1344 dai Carraresi e retribuito con un favoloso stipendio. La ricchezza e la bellezza della sua arca attesta un deciso impegno per lasciare traccia della sua memoria.
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