Un acquedotto geniale
Le guerre, anche quando finiscono, lasciano dietro di sé una scia di dolore, disagio, sofferenza, che non è facile rimarginare. Una ferita che rimane aperta soprattutto nei territori di confine, dove la gente passa quando scappa dalle violenze e dove ritorna quando cerca di ricostruirsi una vita, ai primi accenni di pace e stabilità. Tra questi territori vi sono alcune colline del Burundi al confine con la Tanzania, dove Caritas sant’Antonio ha finanziato una sorta di mini acquedotto, che serve una popolazione di circa 5mila persone.
Siamo nella diocesi di Bururi, nell’omonima provincia, nell’estremo Sud del Paese e le colline di cui stiamo parlando sono quelle di Mutobo, Jenda e Kanazi, lontane appena 1 chilometro dal confine tanzanese. Un territorio che fa parte di una grande parrocchia, quella di Mabanda, guidata da un parroco coraggioso, abbé Leonidas Nimubona: «Nonostante siamo lontani 250 chilometri dalla città più importante, Bujumbura, qui tutte le guerre del Burundi hanno lasciato un segno. L’ultima crisi, nel 2015, ha costretto a passare di qui una massa di profughi diretta in Tanzania. Tuttavia, l’ondata di ottimismo, seguita alle elezioni del 2020 e alla nomina dell’attuale presidente della Repubblica, ha portato molti rifugiati a tornare nel Paese e oggi la mia parrocchia è quella dell’intera provincia che ne accoglie di più, provenienti sia dalla Tanzania che dai campi profughi della Repubblica Democratica del Congo, tanto che oggi i rimpatriati rappresentano il 67 per cento della popolazione».
Un’esplosione di presenze, che mette sotto pressione i già fragili servizi di base del territorio: scuola, salute, cibo, ma soprattutto accesso all’acqua potabile. La mancanza di acqua salubre in particolare aggrava tutte le altre difficoltà e allontana la possibilità di uscire dallo stato d’emergenza: «La situazione è diventata insostenibile – scrive abbé Leonidas a Caritas sant’Antonio –. Per trovare acqua, per giunta inquinata, le donne e i bambini devono camminare anche per 5 chilometri e fare file interminabili, un compito ingrato che si trascina altre conseguenze: sempre più donne vengono violentate durante i tragitti, mentre molti bambini sono costretti a lasciare la scuola». Tra le conseguenze più gravi, l’insorgere di focolai di malattie sempre più estesi: diarrea, febbre tifoide, gastroenterite, colera, epatite A, mentre si è notevolmente innalzata la mortalità infantile sotto i 5 anni. Anche il vescovo di Bururi, Salvator Niciteretse, trasmette a Caritas sant’Antonio la sua profonda preoccupazione: «Le famiglie ridotte in questo stato non riescono a cercarsi un lavoro, affollano i già precari centri di salute e arrivano nelle parrocchie tutti i giorni in cerca di cibo e di soldi per comprare medicine. Non è possibile pensare a uno sviluppo in queste condizioni».
La richiesta accorata di aiuto arriva alla Caritas sant’Antonio a fine aprile 2025. I frati e le operatrici già conoscono Leonidas, per aver realizzato con lui due progetti, qualche anno prima: costruzione di aule, fontane e servizi igienici. L’ambito è la scuola, però sempre nel segno dell’accesso all’acqua. Ora con gli ultimi copiosi arrivi di rifugiati nel 2024, la condizione della popolazione sulle colline è ai limiti del collasso, tanto da diventare l’emergenza primaria per tutta la parrocchia. «Non abbiamo i soldi per porvi rimedio. Solo voi ci potete aiutare» implora abbé Leonidas. La soluzione, però, non è semplice, proprio per il tipo di territorio collinare: «Occorrerebbero tre pozzi, uno per collina, ma dovremmo far arrivare camion, trivelle e materiali da Bujumbura, sarebbe costosissimo. E così un’azienda a cui mi sono rivolto mi ha proposto una soluzione: attingere alla sorgente solo su una collina, quella più alta, e poi arrivare, attraverso canalette e snodi, nelle altre, grazie alla forza di gravità, senza l’acquisto di pompe». In questo modo i 120mila euro preventivati per i tre pozzi, scendono a 46mila, dei quali solo 25mila vengono chiesti a Caritas sant’Antonio.
Leonida manda le carte del progetto, le planimetrie, i preventivi: è bello stare accanto all’Africa che cerca soluzioni per i suoi figli, pur tra mille difficoltà. Il progetto è approvato il 28 maggio del 2025, il 3 giugno iniziano i lavori e a fine luglio il semplice ma geniale sistema idrico viene messo in funzione. La captazione dell’acqua è sulla sommità della collina Jenda, da lì si dirama per gravità attraverso un sistema di tubature a tutte e tre le colline; c’è anche un grande serbatoio e ben sette accessi all’acqua potabile dislocati in vari punti. L’acqua d’improvviso non è più un problema per 4.559 persone, in maggioranza donne e bambini, e per tutti i profughi che nei prossimi anni passeranno da qui, in cerca di una nuova vita. «Quando le persone hanno visto l’acqua limpida e potabile sgorgare dai rubinetti – racconta Leonidas – l’entusiasmo e la gratitudine si leggeva nei loro volti. Una gioia che era anche consapevolezza di quanto valesse quel dono, tanto che, per iniziativa popolare, è nato un comitato per la pulizia e il monitoraggio del sistema: hanno avuto in dono l’acqua e ora vogliono proteggerla per tutti quelli che verranno, anche a nome vostro».
Segui il progetto su www.caritasantoniana.org.
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