Un calcio all’agonismo
Scrive Milena, mamma di un bambino di 8 anni: «Il papà ha voluto iscrivere Francesco a calcio. Ero d’accordo perché penso che lo sport faccia bene. Non mi aspettavo tanto agonismo fin da questa età. Nostro figlio non è un fenomeno e gioca nella “squadra B” che perde sempre, mentre la “squadra A” colleziona vittorie. Qual è la logica di queste scelte?». Nessuna. Si tratta piuttosto di una deviazione di quello che rappresenta lo scopo dello sport per i bambini: divertirsi.
Attività sportiva e sport agonistico sono due cose ben distinte. Sarà un caso che il termine «agonismo» abbia la stessa matrice semantica di «agonia»? I bambini hanno diritto all’attività sportiva per imparare un determinato sport, evitando prestazioni che vadano oltre la loro capacità motivazionale. Mamme e papà purtroppo ci mettono del loro. La cronaca riporta incresciosi episodi di genitori che aggrediscono l’arbitro o che si accaniscono contro gli avversari. Si narra addirittura di un papà che, non riuscendo ad assistere inerme al pesante svantaggio della squadra del figlio durante una partita, entrò in campo e fece goal.
Come dice Donata Minorati, finalista alle Olimpiadi di canottaggio e oggi impegnata nella formazione dei più piccoli a questo straordinario sport: «Ogni cosa a suo tempo. Le attività per i bambini che si approcciano al canottaggio si chiamano Giocaremando. Lo scopo è divertirsi, acquisire motivazione, imparare a coordinare i movimenti, a fare squadra e a stare con gli altri. L’obiettivo è creare sportivi non campioni. Insegnare ai bambini che lo sport fa bene, ma anche a perdere e ad accettare la sconfitta. L’agonismo parte verso i 14 anni, prima non lo approvo. Io stessa ho iniziato a fare canottaggio a livello agonistico a quell’età. Arrivo da una famiglia di sportivi, ma non mi hanno mai spinta o forzata. Addirittura, in un momento di sconforto prima delle Olimpiadi, chiamai mio padre per dirgli che volevo smettere e la sua risposta fu: “Ti vengo a prendere”».
L’equivoco è pensare che lo sport possa sostituire quel gioco libero e spontaneo che ha fatto da base e da sfondo alla vita infantile fino agli anni Ottanta, prima dell’avvento della tv commerciale che riportò i bambini in casa. Sarebbe meraviglioso ritornare alle «bande» che correvano dietro a una palla solo per il gusto di farlo. Lo sport deve mantenere una matrice educativa prioritaria per consentire loro di imparare a scoprire le proprie forze, i propri limiti e le proprie possibilità. Negli sport di squadra, imparano a collaborare con gli altri, a costruire un progetto assieme e a vincere il proprio individualismo.
Anche gli allenatori necessitano di una maggiore formazione pedagogica: se il tecnico non sa gestire il gruppo o comunicare adeguatamente, se non sa motivare i bambini, difficilmente otterrà un ambiente caldo, gioioso e pieno di entusiasmo a prescindere dai risultati ottenuti. Divertirsi con l’attività sportiva costituisce un bisogno imprescindibile, farlo senza stress, una scelta.
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