Un ponte oltre l’io
Non si può non distinguere l’aggressività che si concreta in azioni aggressive da quella che si esprime, volontariamente o involontariamente, nell’aggressività del linguaggio e dei gesti. Se la prima ha bisogno talora (anche) di cure farmacologiche, la seconda non si affronta se non con la gentilezza: è di lei che vorrei parlare. Ma non senza dire prima che la vita, oggi, è contrassegnata dalle forme infinite che l’aggressività assume anche senza trasformarsi in concrete azioni aggressive. E così, quante volte constatiamo incontri in televisione in cui non c’è misura nell’esposizione delle proprie idee, che sono impregnate di aggressività. Le parole sono creature viventi, e quelle aggressive lasciano tracce talora indelebili nella memoria e nel cuore. Anche quando si entra in un negozio, e si deve attendere il proprio turno, quante volte le parole si fanno inutilmente aggressive. Certo, questa è un’aggressività circoscritta, ma l’influenza che questi comportamenti hanno sugli adolescenti è quanto mai diseducativa.
Le parole gentili ci difendono da quelle aggressive, che fanno parte del modo di comunicare di oggi. L’aggressività contrassegna modi di comunicare sempre più frequenti, direi, negli adulti più che negli adolescenti. L’aggressività è nelle parole che si dicono, ma anche nel modo con cui si dicono, trasformando parole formalmente educate in parole che fanno del male. Il modo aggressivo di comunicare e di vivere è espressione di una raggelante indifferenza etica, che si manifesta in non poche condizioni di vita. Persino l’andare in macchina, la cosa più banale che ci sia, diventa spesso occasione per esprimere aggressività, nei gesti e nelle parole. Sì, solo la gentilezza può smorzare i modelli di vita aggressivi.
La gentilezza non costa nulla, e quanto sarebbe utile se fosse presente nelle famiglie e nella scuola, nei luoghi di lavoro e nelle comuni relazioni di ogni giorno. Per essere gentili è necessario avere pazienza, saper ascoltare, sapersi adattare al modo di vivere delle persone che incontriamo, e non lasciarsi divorare dalla fretta. Non solo, la gentilezza si manifesta nelle parole che diciamo, che non devono mai essere fredde e indifferenti. Una vita che non conosca la gentilezza diviene arida, incapace di carità e di speranza. Giacomo Leopardi diceva che non si può vivere senza speranza; io direi anche senza gentilezza, che è come una grande finestra che ci apre alla conoscenza delle nostre emozioni e dei nostri pensieri.
La gentilezza ci fa conoscere le ombre della fragilità e del dolore, della tristezza e dell’angoscia, della nostalgia e della disperazione, che vivono nel cuore delle donne e degli uomini e che talora gridano nel silenzio, chiedendo aiuto. Non saremmo mai capaci di ascoltare se nel nostro cuore non abitasse la gentilezza, questa emozione così impalpabile e luminosa, e così simile alla stella del mattino. La gentilezza è come un ponte che ci fa uscire dai confini del nostro io e ci mette in relazione gli uni con gli altri. Ogni volta che siamo gentili con una persona, soprattutto se è fragile, malata o anziana, noi realizziamo la nostra vocazione umana e cristiana, e ci allontaniamo da ogni forma di aggressività.
Non c’è gentilezza che non nasca dal cuore dell’interiorità e dalla consapevolezza che siamo tutti chiamati a un comune destino di dignità e di solidarietà. Se la gentilezza non sgorga dalla sfera interiore della nostra vita, mancherà di spontaneità; si è gentili solo quando si è capaci di sensibilità e di apertura alla gioia e al dolore degli altri. Nella gentilezza si ha a che fare con uno stile di vita, che ci consente di passare gli uni accanto agli altri senza farsi del male, e di camminare insieme senza ferire la nostra dignità e la nostra libertà. La gentilezza è necessaria, oggi ancor più che nel passato, per farci incontrare e farci comunicare gli uni con gli altri in un clima di reciproca comprensione; è necessaria per farci comprendere il dovere dell’accoglienza e della solidarietà.
La gentilezza rende la vita degna di essere vissuta anche in condizioni difficili come sono quelle di oggi. La gentilezza sconfina nella delicatezza e nella tenerezza ma anche nella mitezza, che hanno in comune l’ascolto delle ragioni del cuore. Sarebbe bello che nella nostra vita avessero sempre più importanza le tracce luminose e fragili della gentilezza, che consente di spegnere le fiamme dilaganti dell’aggressività. Non dovrebbe essere difficile, nel corso delle nostre giornate, dire parole gentili, e a queste affidare i modi di comunicare i nostri pensieri e le nostre emozioni, e, nondimeno, lo sappiamo fare?
Vorrei avviarmi alla conclusione di queste mie considerazioni sull’aggressività e sulla gentilezza, dicendo che le parole gentili, così fragili, non le troveremo mai se non siamo capaci di immedesimarci negli stati d’animo nostri e degli altri. Per farlo è necessario affidarsi alla sensibilità, alla logica del cuore, al sapersi immedesimare nelle esperienze dolorose degli altri. Costa tempo, costa fatica, educarsi a questa immedesimazione, ma è un impegno al quale non dovremmo mai venire meno, sulla scia di una gentilezza che si apra alla carità e alla speranza contro ogni speranza, come dice san Paolo.
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