Washington, 24 settembre 2015. Papa Francesco parla al Congresso degli Stati Uniti e, tra lo stupore dei presenti, annovera, tra le figure più significative del cristianesimo statunitense, Dorothy Day, molto discussa per le sue scelte controcorrente: «In questi tempi in cui le preoccupazioni sociali sono così importanti – dice il Pontefice –, non posso mancare di menzionare Dorothy Day (...). Il suo impegno sociale, la sua passione per la giustizia e per la causa degli oppressi, erano ispirati dal Vangelo, dalla sua fede e dall’esempio dei santi».
Dorothy Day è donna dei nostri giorni: muore, infatti, il 29 novembre 1980. Eppure, soprattutto nel nostro Paese, non sono in molti a conoscere la sua splendida figura umana e cristiana. Viene in aiuto in tal senso l’autobiografia di Day, scritta nel 1952, e ripubblicata in Italia da Jaca Book in occasione dei quarant’anni dalla morte. Un libro che ci fa entrare nei meandri più nascosti di quest’anima inquieta. Nata nel 1897 a Brooklyn, per il lavoro del padre, giornalista sportivo, si trasferisce presto in California, dove sperimenterà la solidarietà fattiva nei confronti delle vittime del disastroso terremoto del 1906: un’esperienza che la segnerà, portando alla luce quel desiderio di vivere in totale condivisione con chi è in difficoltà, che caratterizzerà gran parte della sua esistenza.
Dopo gli studi a Chicago, interrotti, e un ulteriore trasferimento a New York, decide di intraprendere la professione giornalistica. Ed è soprattutto in questo contesto che entra in contatto con la miseria che abbruttisce gli abitanti dei quartieri più poveri di New York, una miseria che la spinge alla militanza appassionata, per difendere i disoccupati, contro la guerra, per il voto alle donne. Pacifista convinta, Day finisce più volte in prigione per le sue proteste di piazza, toccando così con mano anche le condizioni disperate dei carcerati. Dopo varie vicissitudini sentimentali (e un aborto che la segna profondamente) incontra Forster Batterham, che diventa il padre della sua unica figlia, Tamara Teresa, dal quale però si separa perché lui non accetta la sua conversione al cattolicesimo.
Da allora in poi la solitudine di Dorothy Day si fa pesante ma definitiva, colmata solo dall’amore per gli ultimi. In questi anni incontra Peter Maurin, con il quale, nel 1933, fonda la testata giornalistica «The Catholic Worker» che, stampata inizialmente in 2.500 copie, raggiunge in due anni le 150 mila copie: voce di chi non ha voce, sposa tutte le battaglie nonviolente a favore della dignità degli emarginati. Ma Day vuole agire una solidarietà ancora più concreta. Per questo, sempre con Maurin, fonda anche il Catholic Worker Movement, una rete di case per senza fissa dimora. Ed è in una di queste case, all’interno di una stanzetta spoglia, che Dorothy si spegne, accanto a poveri e derelitti, ormai 80enne, dopo una vita spesa ad amare.