Vittime e carnefici. Nel nome di «Dio»
Padre Giulio Albanese nelle periferie del mondo ha vissuto a lungo, come missionario comboniano. Ma nonostante viva in Italia ormai da anni, di Africa, di marginalità, di chi non ha voce continua indomito a occuparsi. Lo fa sia attraverso i suoi periodici viaggi nel grande continente sia attraverso i molti articoli o libri, come quello da poco uscito per Einaudi: Vittime e carnefici. Nel nome di «Dio». «Dobbiamo stare attenti a non cadere nella trappola di chi vorrebbe innescare uno scontro di civiltà – raccomanda padre Giulio –.
È una questione di buon senso. Nel mondo i cristiani sono circa 2 miliardi, i musulmani 1 miliardo e 300 mila: che facciamo, ci mettiamo a far la guerra tra di noi? Ad annientarci a vicenda? No, la religione non c’entra nulla con gli attacchi di Bruxelles o Parigi, e non c’entra quasi mai nemmeno con i molti attentati che avvengono in giro per il mondo, come ho scritto nel mio libro. Non esistono guerre in nome di Dio. Chi le propugna sta in realtà strumentalizzando la religione a fini eversivi e cerca di farci cadere nell’inganno».
Pagina dopo pagina, il volume di padre Albanese fa luce, racconta, solleva veli di ipocrisia. E aiuta a capire che davvero il più delle volte la religione è utilizzata dai violenti solo come vessillo. Accade per esempio con i numerosi giovani combattenti che partono dall’Europa per unirsi all’Isis. «Si tratta – sottolinea padre Giulio – di ragazzi di origine immigrata, di terza o quarta generazione, che del Corano conoscono spesso solo i pochi versetti che vengono postati dai terroristi sul web. E proprio per la loro ignoranza, oltre che per il fatto che non siamo riusciti a integrarli in modo pieno nelle nostre società (e qui anche noi europei dobbiamo fare un po’ di autocritica…), sono facile preda di estremismi». Secondo il comboniano non abbiamo altra scelta che un’intelligente mitezza per far fronte a quanto sta accadendo vicino a noi o in altre parti del pianeta.
«Dobbiamo avere il coraggio – continua –, anche come comunicatori, di mostrare che cosa sta dietro il terrorismo, mettendo in luce le contraddizioni del nostro mondo. Per esempio: perché le intelligence europee non sono capaci di collaborare tra di loro per estirpare il terrorismo? Perché quando si tratta di far quattrini siamo pronti a stringere mani a chiunque, ma quando si tratta di combattere questa guerra asimmetrica, che va affrontata con perspicacia, lo spirito di collaborazione si spegne? Siamo dinanzi a una sfida culturale che va fronteggiata con le armi della cultura.
A chi dice che alcuni versetti del Corano inneggiano alla guerra santa, dobbiamo rispondere che anche la Bibbia è infarcita di immagini belliche, ma non per questo andiamo in giro ad ammazzare la gente. Noi oggi abbiamo capito come accostarci a questi passi biblici; lo stesso deve accadere con il Corano. E allora confrontiamoci, leggiamo, spieghiamo. Dobbiamo conoscere e far conoscere, per spegnere l’ignoranza e non cadere nella trappola di chi la sfrutta per altri fini». «Vittorio Bachelet – si legge nelle pagine conclusive del volume –, vittima delle spietate Brigate Rosse, diceva: “Non si vince l’egoismo mostruoso che stronca la vita se non con un supplemento di amore”». Non è questione di buonismo, ma di Vangelo.
«Vittorio Bachelet – si legge nelle pagine conclusive del volume –, vittima delle spietate Brigate Rosse, diceva: “Non si vince l’egoismo mostruoso che stronca la vita se non con un supplemento di amore”». Non è questione di buonismo, ma di Vangelo.