Nemmeno gratis fanno lavorare…
«Gentile direttore, sono uno studente di Architettura iscritto al quinto anno di università. Per concludere il mio percorso di studi ho bisogno di svolgere un tirocinio gratuito e poi sviluppare un elaborato finale, comunemente chiamato tesi. Mio malgrado, è da circa un mese che cerco un luogo di lavoro dove svolgere il tirocinio senza trovare alcuna risposta positiva. La situazione mi appare alquanto drammatica, ed effettivamente se non è possibile lavorare gratuitamente per due mesi risulta impensabile chiedere un posto di lavoro con uno stipendio dignitoso... Non sono meravigliato dell’aumento esponenziale del numero di suicidi in Italia soprattutto nella fascia di età più giovane. Sono alcuni anni che purtroppo non sento un solo politico parlare dei giovani e del problema occupazionale, se non attraverso numeri e percentuali di dubbia provenienza utilizzati soltanto in campagna elettorale o per propaganda politica. Per un giovane italiano l’unica alternativa sta nella speranza di trovare un qualsiasi lavoro all’estero. Tutto questo è a dir poco aberrante». Lettera firmata
Gentile lettore, grazie per quanto scrive e per aver dato voce ai tanti giovani in formazione i quali, pensando al lavoro, scuotono il capo per non lasciarlo riempire di troppi foschi pensieri.
Il mio grazie è già una parte di risposta, perché anche solo condividendo i suoi pensieri lei ha fatto l’importante passo di uscire dalla solitudine nella quale rischia di chiudersi chi non trova lo sbocco che cerca. Senta papa Francesco: «Spesso dietro a un progetto di lavoro c’è tanta solitudine: a volte i nostri giovani si trovano a dover affrontare mille difficoltà e senza alcun aiuto. Le stesse famiglie, che pure li sostengono – spesso anche economicamente – non possono fare tanto, e molti sono costretti a rinunciare, scoraggiati». Una constatazione che diventa proposta: «Il mio invito è quello di continuare a promuovere iniziative di coinvolgimento giovanile in forma comunitaria e partecipata» ha affermato papa Bergoglio incontrando i gruppi del lodevole «Progetto Policoro», sostenuto dalla Cei.
La Chiesa italiana sta mettendo il tema del lavoro al centro. Lo farà a Cagliari il prossimo ottobre con la Settimana Sociale numero 48 dedicata a «Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale»; lo ha fatto in febbraio a Napoli, dove le diocesi del Sud Italia si sono incontrate sul tema «Chiesa e lavoro. Quale futuro per i giovani del Sud?». La speranza è che qualcosa possa smuoversi, perché la situazione, al di là di ogni statistica, è ben grave. Riporto qualche altro assunto di papa Francesco, scelto tra i più incisivi: «Il lavoro è un elemento fondamentale per la dignità di una persona. Il lavoro, per usare un’immagine, ci “unge” di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre» (1 maggio 2013); «Il lavoro non è un dono gentilmente concesso a pochi raccomandati: è un diritto per tutti» (14 dicembre 2015); «Una società che non offra alle nuove generazioni sufficienti opportunità di lavoro dignitoso non può dirsi giusta» (8 febbraio 2017); «Chi per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari chiude fabbriche, chiude imprese lavorative e toglie lavoro agli uomini, questa persona fa un peccato gravissimo» (15 marzo 2017).
Non credo servano tanti altri commenti. Aggiungo solo un pensiero che mi viene da quanto in maggio abbiamo vissuto qui a Padova, il quinto Appuntamento mondiale dei giovani della pace organizzato dal Sermig. Ne abbiamo parlato in un articolo uscito sul «Messaggero» nel numero di aprile, dove riportavamo questo pensiero di Ernesto Olivero, in risposta alla domanda: «Se tu fossi giovane, rimarresti in Italia?»: «Oggi i giovani si sentono persi e cercano un futuro altrove perché in Italia nessuno più investe su di loro. Piangersi addosso, però, non serve, anche perché le cose in Italia possono cambiare solo con giovani che si fanno promotori del cambiamento mettendosi in gioco. Con i giovani che condividono i nostri ideali abbiamo scelto di restare in Italia, accettando anche qualche sacrificio per il nostro Paese, per diventare lievito in una società troppo ripiegata su se stessa».
Caro lettore, essere lievito di un’Italia più coraggiosa è quanto di meglio io possa augurare, non solamente a lei, ma anche a me.