03 Dicembre 2017

Qualcosa di cui prenderci cura…

Chissà che non arrivi il giorno in cui chiunque di noi guarderà il presepio, qualsiasi presepio, saprà di avere qualcuno di speciale, un Dio che si è fatto bambino, di cui prendersi cura. E ricomincerà ad amare come se fosse la prima volta.
vignetta presepe strada

©JeSuisLAutre

Quell’anno, e per l’esattezza nei giorni di Natale del 1223, Francesco se ne era partito da Greccio con più gioia nel cuore: intuiva che i suoi frati avrebbero mantenuta viva l’usanza di celebrare la nascita di Gesù in quel modo. Magari non proprio canonico e solenne, mettendoci pure Vangelo, racconti apocrifi e tanta, tanta storia e emozioni di ognuno di noi, il tutto miscelato a dosi abbondanti dettate dal cuore; ma, è fuor di dubbio, alquanto simile a quell’avvenimento successo duemila anni fa a Betlemme. Non solo. Era assai probabile che pure la gente di Greccio avrebbe sparsa la notizia al villaggio più vicino, e da lì si sarebbe diffusa in tutt’Italia e poi nel mondo intero. Insomma, avrà pensato Francesco abbozzando un sorriso, un po’ come fecero quella volta là i pastori: in effetti, di nuovo Dio si era manifestato ai piccoli! In entrambi i casi si trattava pur sempre di gente povera e semplice, abituata a portare troppa croce e ad alzare gli occhi per invocare ascolto e giustizia, non verso i potenti di questa Terra ma verso il Cielo. Uomini e donne, grandi e piccoli, che si erano presentati esibendo unicamente la patente di… umanità.

Perché, è vero, potremmo stare ore, e in questi giorni ci staremo proprio, ad ascoltare estasiati chi ne sa più di noi sul significato del Natale, sul senso dell’Incarnazione: che è Dio che si fa uomo affinché l’uomo si faccia Dio, che è nei progetti della Trinità da sempre, che ha a che fare in qualche modo con le nostre colpe, e altre parole sante dicendo. Ci farebbero anche notare che quello di san Francesco è un «presepio eucaristico», celebrato sulla povera mensa di pietra della grotta di Greccio, dove Gesù rinasce nel pane e nel vino dell’Eucaristia natalizia.

Ma, un po’ più semplicemente, non è che il Natale ci ricorda che Dio, ora, è uno di noi?! Possiamo accostarci a questo bimbo senza paura, fare un mucchio di cose sciocche cercando di farlo ridere. Troveremo «la sapienza che balbetta, la potenza resa debole, la maestà abbassata, l’immenso fatto bambino, il ricco fattosi poverello, il re degli angeli che giace in una stalla, il cibo degli angeli divenuto quasi fieno per gli animali, colui che da nulla può essere contenuto, adagiato in una stretta mangiatoia» (sant’Antonio, Natale del Signore 10). E se avesse preso le sembianze di un bimbo nientedimeno che perché noi ci prendessimo cura di lui? Troppo irriverente?! Di cui prenderci cura… da amare… Dio che si affida alle nostre premure, senza nemmeno essere certo che ne saremo capaci o che ne avremo voglia… ma contandoci!

Dio ci sperava che noi ci rendessimo conto di non essere più al centro dell’universo? Che capissimo che avevamo delle precise responsabilità: non solo fare soldi o pensare a sé, ora eravamo chiamati a prenderci cura di Dio! Ascoltiamo ancora il nostro sant’Antonio: «A te, o beata Vergine, sia lode e gloria, perché oggi siamo stati ricolmati dei beni della tua casa, cioè del tuo grembo. Noi che prima eravamo vuoti, ora siamo pieni; noi che prima eravamo malati, ora siamo sani; noi che prima eravamo maledetti, ora siamo benedetti, o Maria!» (Natale del Signore 5).

Chissà, avrà forse ripreso a fantasticare con speranza Francesco, mentre da lontano lanciava un ultimo sguardo d’affetto alla grotta di Greccio; chissà che un giorno, chiunque – anche tu, carissimo lettore – guarderà il presepio, quello instabile e maldestro approntato dai bambini nelle nostre case o quello a regola d’arte delle nostre chiese non importa, saprà di avere qualcuno di speciale da amare, qualcuno di divino di cui prendersi cura. E ricomincerà ad amare, come se fosse la prima volta.

Data di aggiornamento: 03 Dicembre 2017
Lascia un commento che verrà pubblicato