La differenza tra il bene e il male
A Manduria, un gruppo di giovani «sbandati» ha a lungo picchiato e seviziato un uomo di 65 anni. L’anziano è morto. A Viterbo, due ragazzi «perbene» hanno violentato con brutalità una giovane donna. Fatti di cronaca, si dirà. Terribili, orrendi, ma pur sempre eccezioni, deviazioni dai comportamenti sociali normali. Vero.
Siamo certi, però, che non ci sia proprio nessun legame tra questi fatti e l’ambiente in cui si sono svolti? Pensarlo è consolatorio. Ma non è così. Lo svelano le reazioni dei genitori dei ragazzi scoperti e incriminati. Difendono, giustificano i figli. Nascondono i loro crimini. Nelle loro reazioni il male evidente commesso dai figli non è riconosciuto, e la differenza tra questo e il bene si attenua così fino quasi a scomparire. Una differenza che dovrebbe essere, invece, certa e inoppugnabile. Se quindi i genitori non la possiedono, com’è possibile che la trasmettano? Ed è allora che un’altra terribile verità traspare dalle vicende di Manduria e di Viterbo: la differenza tra bene e male, fondamento etico essenziale, non sempre fa parte del patrimonio familiare.
Se poi allarghiamo lo sguardo a un’altra istituzione fondamentale, la scuola, si accorgiamo – anche in questo caso la cronaca ce lo racconta – che ha perduto quella autorevolezza necessaria per la trasmissione dei valori fondanti. I frequenti episodi di bullismo, la resa di professori, l’incapacità di arginare i fenomeni di violenza che spesso funestano gli istituti scolastici, ne sono una dimostrazione. Anche nella scuola la differenza tra bene e male fa fatica a emergere, ad affermarsi, a diventare elemento fondante dell’educazione.
Ma tale differenza tende a sfumare anche nelle istituzioni della politica e dello Stato. Pensiamo: qual è il comportamento degli Stati democratici che hanno come valore fondante il «bene» della libertà, dei diritti personali, del rispetto delle minoranze quando essi entrano in rapporto con altri Paesi in cui questo «bene» è abolito e sostituito dal «male» della repressione, del soffocamento della libertà? Di fronte al business, alle transazioni commerciali, il «male» si ridimensiona, si nasconde. L’economia ha la meglio sull’etica. E quale esempio viene dai partiti quando urlano e condannano il reato commesso da un componente del partito avversario e sono pronti a comprendere e a giustificare lo stesso reato se chi lo commette fa parte delle proprie fila? Si dirà: non si possono paragonare orrendi crimini con la politica dei partiti e degli Stati. È vero: non c’è un rapporto diretto e tanto meno automatico. Ma quei fatti criminosi fanno emergere un humus culturale in cui domina l’indifferenza, il relativismo, la convenienza. In cui l’abisso che separa il bene dal male si attenua, diventa meno visibile.
Nella nostra società, oggi, prima di sconfiggere il male, c’è da ripristinare una chiara differenza tra male e bene. Ed è questo il compito della famiglia, della scuola, delle istituzioni tutte. La cronaca insegna.