La festa della gratuità
Questo Natale così diverso dagli altri e così simile ai Natali di guerra e carestie che i nostri nonni conoscevano bene, è anche un’ottima occasione per riflettere sulla realtà più associata al Natale: la famiglia. La famiglia è molte cose, ma è anche il principale luogo dove apprendiamo – per tutta la vita e in un modo tutto speciale da bambini – un’arte fondamentale, l’arte alla base di tutte le arti e le professioni della vita adulta: l’arte della gratuità. Imparando questa arte essenziale impariamo a lavorare, perché non c’è lavoro senza gratuità.
Ma che cos’è veramente la gratuità? La nostra età di consumismo e di finanza ha logorato il significato della parola gratuità. L’ha confusa col gratis, l’ha contrapposta al contratto e al doveroso, l’ha associata agli sconti di fine stagione, ai gadget, alla mezza ora in più al lavoro non remunerata. In realtà la gratuità è charis, grazia, ma è anche l’agape, quell’amore che supera e completa l’eros e l’amicizia.
La gratuità, questa gratuità, allora, è un modo di agire e uno stile di vita che consiste nell’accostarsi agli altri, a se stesso, alla natura, a Dio, alle cose, non per usarli utilitaristicamente a nostro vantaggio, ma per riconoscerli nella loro alterità, rispettarli e servirli. La gratuità ci salva dalla tendenza predatoria che c’è in ogni persona, che distingue la preghiera dalla magia, che ci salva dal narcisismo, la grande malattia di massa del nostro tempo.
Si capisce, allora, perché la famiglia è il luogo principale, sebbene non unico, dove questa gratuità si sviluppa e si custodisce. Dire gratuità significa dunque riconoscere che un comportamento va fatto perché è buono, e non per la sua ricompensa o sanzione. La cultura economica capitalistica dominante, e la sua teoria e prassi economica, sta invece operando su questo fronte una rivoluzione silenziosa ma di portata epocale: il denaro è diventato il principale o unico «perché» del lavorare, della sua qualità e quantità.
È questa la cultura, che possiamo chiamare cultura dell’incentivo, che si sta sempre più estendendo anche nella sanità e nella scuola, dove è divenuto normale pensare che un insegnante o un medico si comportano da buoni lavoratori solo se e in quanto adeguatamente remunerati e controllati.
Questa vera e propria ideologia sta producendo il triste risultato di riavvicinare sempre più il lavoro umano alla servitù o alla schiavitù antica, perché chi paga non compra solo le prestazioni, ma anche le motivazioni delle persone e quindi la loro libertà.
Se la famiglia vuole, e deve, coltivare l’arte della gratuità, deve fare molta attenzione a non importare dentro casa la logica che oggi vige fuori. Guai, ad esempio, a usare la logica dell’incentivo all’interno delle dinamiche familiari. Il denaro in famiglia, soprattutto nei confronti dei bambini e dei ragazzi, va usato poco, e se usato deve essere usato come premio o riconoscimento e mai usato come prezzo e come incentivo.
Uno dei compiti della famiglia è proprio formare nelle persone l’etica del lavoro ben fatto. Il letto va riassettato bene perché deve essere fatto bene, non per la mancia; i compiti vanno fatti bene perché vanno fatti bene e basta, per ragioni cioè interne allo studiare, e se oggi imparo quest’arte dell’«e basta» domani sarò capace di lavorare bene anche quando nessuno mi vede, mi incentiva o mi punisce.
Se, invece, anche in casa, il denaro diventa il «perché» si fanno e non si fanno compiti e lavoretti, i ragazzi da adulti difficilmente saranno buoni lavoratori e non sperimenteranno la libertà profonda e vera che nasce dalla gratuità. Buon Natale, buona festa della gratuità!
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