I dannati di El Sod
El Sod, che in lingua amarica significa «casa del sale», è il nome di un villaggio nato sul bordo del cratere di un vulcano spento, nel sud dell’Etiopia. I locali che abitano quelle terre lo chiamano black hole: buco nero. Il perché lo si intuisce guardando il paesaggio dal ciglio scosceso adiacente le ultime capanne del villaggio. Un’immensa voragine di 150 metri di dislivello con, al centro, una macchia nera. Una pozza d’acqua salmastra densa come la pece e profonda fino a 5 metri, dove, quotidianamente, i Borana – gli abitanti del posto – si immergono per estrarre il loro «oro nero».
In questo remoto angolo di mondo si arriva percorrendo l’impercettibile discesa di un «nastro d’asfalto» che, dalla cittadina di Yabelo, conduce fino al confine kenyota, facendosi sempre più esile. L’arrivo di uno straniero occidentale a El Sod è, per i locali, una lussuosa attrazione, soprattutto dal punto di vista economico. In Africa il «bianco» porta quasi sempre denaro. Per molti, è un «pollo da spennare». Il villaggio si riunisce rapidamente quando arriva un forestiero: sanno che si fermerà per poco tempo. A El Sod i viaggiatori arrivano per scendere nel cratere e toccare con mano questa «scenografica» realtà. I Borana lo sanno: da qualche anno chiedono il pagamento di una tassa, pochi birr che andranno al sostentamento della comunità locale. È quello che dicono a ogni turista. In realtà, queste piccole somme di denaro finiranno nelle tasche di pochi «imprenditori locali». E il resto della popolazione continuerà a tendere la mano, scambiando un birr per un’umiliante posa fotografica.
La pozza d’acqua sul fondo del cratere nasconde la ricchezza dell’intero villaggio: il sale. L’estrazione non è semplice, questo lavoro costa fatica ed esperienza. I giovani salt men si immergono nell’acqua salmastra con un bastone rudimentale: lo strumento utilizzato per staccare dal fondo le grosse quantità di fango melmoso dove è contenuto sale. Sprofondano nel «cuore nero» della terra per dare un senso alla loro vita, per riempire le pance dei loro familiari, per sopravvivere.
Per assistere all’estrazione del sale bisogna scendere fino alla «pozzanghera nera». Il tragitto è impegnativo, impervio: la mulattiera è ripida, le pietre levigate sono ricoperte di terriccio. Si scivola facilmente. C’è molto traffico sulla strada, è un grande andirivieni: si incrociano somarelli che trasportano sacchi di sale grezzo. Salgono dal cratere, per poi riscendere, più volte al giorno, avvolti nella cappa di calore che stordisce e strema. In questo «regno dei dannati» nessuno conosce Virgilio e la Divina Commedia. Nella discesa ci si affida al destino.
Marcos, un giovane che fino a qualche anno fa faceva il mestiere del salt man, oggi accompagna i turisti sul fondo del cratere. Racconta la sua storia ai viaggiatori più curiosi: parla degli amici che continuano a spezzarsi la schiena in cambio di pochi birr. Le prime ore della giornata sono le meno calde, a mezzogiorno la temperatura sfiora i 50 gradi: è impossibile lavorare sotto il sole. Il cratere è un immenso catino naturale, sul fondo non circola aria, si soffoca.
Durante la camminata che conduce alla pozza del sale, Marcos parla della sua vita, di quando era poco più che un ragazzino e il suo sogno era quello di trasferirsi ad Arba Minch, per frequentare la facoltà di economia all’università. Purtroppo i suoi desideri non hanno mai preso forma: in famiglia servivano le sue braccia per sfamare i fratelli più giovani. Marcos, oltre a fare da guida agli stranieri che giungono al suo villaggio, si occupa della parte amministrativa del locale consorzio che gestisce il commercio del sale.
Quando termina la discesa del pendio, e il sentiero perde forma diramandosi su un terreno fangoso, i passi diventano pesanti. I locali procedono scalzi sprofondando nella melma e dirigendosi in linea retta verso la meta. Chi invece ha la fortuna di indossare un paio di scarpe è costretto ad aggirare le zone dalla superficie più molle, cercando un suolo più compatto. Sono instancabili i Borana, camminano a piedi nudi per ore. Nelle loro vene scorre lo stesso sangue di Abebe Bikila, il campione olimpionico che nel 1960 vinse la maratona di Roma correndo scalzo.
Serve essere in ottime condizioni fisiche per svolgere questo mestiere. Non basta essere forti, ci vuole esperienza. Bisogna sapersi immergere in apnea tenendo gli occhi chiusi, trascinando con se l’asta che servirà a scavare sul fondo. Si scende fino a cinque metri, per trenta, a volte quaranta secondi. Poi si risale in superficie, spinti dalla salinità dell’acqua. Tra le braccia si stringe la preziosa massa del «pescato»: sale e fango, come fosse un tesoro dal valore inestimabile. Qualcuno sulla riva insacca la pregiata materia nera, mentre altri lavoratori provvedono a caricare gli asini, nell’attesa che il convoglio parta e si avvii verso la casa del sale ubicata nel villaggio. Dal cratere di El Sod, ogni anno vengono estratti 60 mila chilogrammi di sale. Il restante, che necessita per coprire il fabbisogno nazionale, viene prodotto dagli Afar, nella lontana e aspra Dancalia.
Lavorano per pochi birr i ragazzi di questo girone dantesco. Dieci, a volte dodici ore al giorno. Si riconoscono subito, quando la sera passeggiano lungo le vie del villaggio: hanno i piedi cotti dalla salsedine, la pelle delle mani sembra scollarsi, è bruciata dal sale. Il petto e il viso sono perennemente tinti di nero: non è facile ripulirsi totalmente. È un lavoro disumano che si tramanda da padre in figlio, questo. I giovani, che sfortunatamente o per necessità si trovano coinvolti, difficilmente riusciranno a trovare una via d’uscita.
La scarpinata per risalire il cratere è faticosa, lo si vede dai volti degli uomini non più giovani: gocciolano di sudore, respirano con affanno. Si fermano per far riposare le gambe. Anche per gli animali è impegnativo: arrancano al limite della fatica, sotto l’enorme peso che trasportano. Nei tratti più ripidi le esili gambette dei somarelli più anziani sembrano spezzarsi, mentre gli zoccoli scivolano sulle pietre levigate. A volte cadono, questi poveri animali. Ma si rialzano subito, lamentandosi solo con uno sbuffo.
C’è fermento al villaggio per il ritorno in «superficie» dei «bianchi». I bambini più svegli fiutano affari: sanno che, dopo una grande salita, i viaggiatori hanno bisogno di dissetarsi. Si vedono secchi in metallo allineati sul bordo del cratere, ma non sono riempiti di sale: lo sanno tutti che si guadagna molto di più con Coca Cola, Fanta e Sprite. L’ultimo asinello ha raggiunto l’orlo del cratere trasportando gli ultimi sacchi di «oro nero». Tra poco il sole si nasconderà oltre l’orizzonte. Alla casa del sale Marcos ha iniziato il suo turno di lavoro serale: ci sono i sacchi da contare e pesare, bisogna calcolare i compensi giornalieri dei ragazzi che hanno estratto la materia prima e organizzare le squadre di lavoro per l’indomani.
È arrivato il silenzio a El Sod, si va a dormire presto sotto le acacie di quest’Africa senza stelle. Domani il sole sorgerà come sempre, a est. Sarà un nuovo giorno: probabilmente come ieri, come quelli che verranno. Come quelli di tanti anni fa.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!