Incontriamoci in Portineria
Il fenomeno è in crescita in tutta Italia e un’ulteriore «spinta» l’ha data la pandemia. Sì, perché le «Portinerie di quartiere» non sono solo uno spazio dove rivolgersi per dare e ricevere un aiuto, ma soprattutto un’esperienza umana di vicinanza e servizio. «Un antidoto alla solitudine di tante persone fragili e un avamposto di comunità», dice Mario Morandi, presidente del Coordinamento metropolitano delle Associazioni di volontariato e del Centro di servizio per il volontariato (Cavv-Csv) di Venezia, che, nell’ultimo anno e mezzo, ne ha fatte nascere e decollare tre: vicino allo squero di San Trovaso, nel sestiere di Dorsoduro, nella città d’acqua; a Mestre, non distante dalla stazione ferroviaria; a Chioggia, in calle Scopici.
Gli esperti chiamano esperienze come queste «welfare di prossimità», dove un ruolo fondamentale è svolto dal variegato mondo del volontariato, vera grande ricchezza del Belpaese. Se il covid ha tolto socialità, il fermento di un buon vicinato, che garantisce un sostegno concreto nella quotidianità e nuove forme di inclusività, è stata la risposta più consolante che potesse arrivare. Giovanna Muzzi, ricercatrice dello Iuav, l’Università di architettura lagunare, ha fatto una sorta di censimento, registrando una cinquantina di Portinerie attive su tutto il territorio nazionale. «A livello gestionale – afferma – non esiste un modello unico e uguale per tutti, né mancano quelle che aprono, ma poi sono costrette a chiudere nel breve. Il bello è che sono centri di risposta veloce e capillare alle esigenze di un territorio; l’aspetto più problematico, invece, riguarda la continuità temporale e la sostenibilità economica».
Le Portinerie di quartiere si sono sviluppate come spazi fisici di incontro, ascolto, assistenza, nuova aggregazione. «Così si ricostruiscono i legami, con modalità che si declinano diversamente, in un certo senso personalizzando gli aiuti», spiega Ketty Poles, direttrice del Cavv-Csv veneziano che molto si sta impegnando anche in vista della creazione di un network che metta assieme tutte le realtà presenti nel panorama nazionale. Che, lo si accennava, sono molte, soprattutto al Nord: da Milano a Torino, da Genova a Firenze, da Trento a Ferrara. Qualcosa si sta sviluppando anche nel Lazio e in Puglia.
L’esempio che ha fatto da apripista è «Lulu dans ma rue» di Parigi, esperienza nata nel 2016 a partire da un chiosco in strada dove poter incrociare bisogni e soluzioni. In effetti, le Portinerie offrono un amplissimo ventaglio di attività. C’è lo sportello d’ascolto, che dà compagnia e consigli. Ci sono servizi come la ricerca della badante, l’accompagnamento a fare la spesa o a una visita medica, la consegna dei pacchi, la lavanderia, il deposito chiavi. Le piccole riparazioni domestiche, il sostegno all’uso del computer, il prestito di attrezzi e materiali per il bricolage. E poi gli spazi comuni: le aule studio, le biblioteche, le postazioni internet, le ludoteche. La consulenza e l’assistenza tecnica per pratiche burocratiche, la delega al pagamento delle bollette.
Ancora: la mano tesa a bambini e ragazzi per i compiti nel doposcuola, le ripetizioni, il babysitting. L’aiuto a tenere gli animali o a curare le piante. Il prestito e lo scambio di beni utili, tipo la bicicletta. Ma anche il bar e la ristorazione. Il servizio infermieristico di base, se c’è da provare la pressione arteriosa o la glicemia oppure se è necessaria una medicazione o una puntura. E tutta la vasta sfera dell’animazione ricreativa, per tutti i gusti e le età: ricamo e uncinetto, gioco a carte o da tavolo, merende in compagnia, festicciole per compleanni e ricorrenze. Passeggiate e ginnastica dolce. Mostre, spettacoli teatrali e musicali, laboratori. Insomma, un mondo di iniziative, che parte concretamente dalla soluzione di un problema e arriva alla ricostruzione di un tessuto sociale segnato dall’individualismo e dalle conseguenze più pesanti della pandemia, che ha portato all’impoverimento di una parte del vecchio ceto medio, generando nuove vulnerabilità.
«Chicche» italiane
Di esperienze paradigmatiche, in Italia, ce ne sono tante. A Mestre, nel difficilissimo quartiere Piave, dove molti sono i problemi di criminalità e degrado, la Portineria ha aperto, al civico 65 dell’omonima via, locali rimasti sfitti, con una corte interna, affidati in comodato gratuito dal proprietario e gestiti a turno da 25 volontari di cinque associazioni, con 5 giovani del Servizio civile e altrettante persone che beneficiano del Reddito di inclusione attiva. «Creare prossimità vuol dire dare risposte alle esigenze degli abitanti di una zona in una logica di maggiore solidarietà umana e di servizio al benessere della collettività», sottolineano i responsabili. A Trento s’incontra la «Portineria de la Paix» che è stata la naturale continuità del precedente Caffè gestito dall’associazione di promozione sociale Dulcamara. «L’intervento – racconta Giulia Cutello – ha portato alla riqualificazione della corte di passaggio del teatro Osele, tra via Suffragio e piazza della Mostra, dove c’erano ormai solo vuoto e degrado. Siamo partiti col coworking e siamo arrivati alle attività culturali e sociali, dopo aver svolto un’indagine su quali fossero i bisogni e le richieste».
Così la rigenerazione di questo spazio urbano è passata per iniziative riuscitissime in partenariato pubblico-privato come «Il salotto della città», «Tutti giù in cortile», «Il caffè delle donne». A Firenze è da tempo operativa la Portineria dello storico borgo San Frediano, a cura dell’associazione «Incontriamoci sull’Arno»: «Siamo nati dall’esperienza del centro diurno psichiatrico con cui collaboriamo. Da noi vengono residenti e turisti, si creano relazioni. E i nostri doposcuola sono un incrocio di culture di tutto il mondo», rileva il presidente Massimo Niccolai. A Ferrara, al Barco, quartiere della prima periferia industriale, «Intornoate» gestisce la Portineria nel cuore delle palazzine della coop Castello. «Il covid avrebbe potuto fermarci – osserva il presidente Loredano Ferrari –. Invece siamo stati capaci di leggere i bisogni e fare rete con le altre realtà. E tutti i giorni ci inventiamo qualcosa. Così è stato recuperato un parchetto rionale lasciato nell’abbandono; sono nati i mercatini di Natale da noi autogestiti; una volta al mese arriva il medico per il controllo del colesterolo e della glicemia; gli amanti delle passeggiate si sono radunati nei “Gruppi in cammino”».
I risultati di tanto impegno non mancano. Solo nel veneziano, le tre Portinerie attive, gestite da 19 associazioni, hanno registrato in un anno e mezzo oltre 1.500 accessi ai servizi, aiutando anziani, malati, disabili, poveri già conosciuti e nuovi, in tempi in cui le reti familiari e amicali sembrano sgretolarsi sempre di più. «In definitiva, il benessere del mio vicino fa bene a tutti gli altri», riassumono i promotori. Luoghi aperti, vivaci e vivibili, le «Portinerie di quartiere» sono la primula di una nuova primavera sociale che, grazie all’aiuto gratis di tanti volontari, già si affaccia all’orizzonte.
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