Il soprano che incanta il mondo
Chiara Isotton è nata a Belluno e ha studiato alla Scuola di musica «Antonio Miari» della sua città. Si è diplomata al Conservatorio «Benedetto Marcello» di Venezia, e ha continuato la sua formazione sotto la guida di William Matteuzzi, Roberto Scandiuzzi, Paolo De Napoli, Raina Kabaivanska, Renato Bruson. Dopo aver vinto importanti concorsi internazionali, è entrata all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano, diplomandosi nel 2015. Nel marzo del 2024 sarà Minnie, la protagonista de La fanciulla del West di Giacomo Puccini all’Opéra di Lione, in Francia.
Msa. Com’è nata la sua passione per il canto e per l’opera?
Isotton. Sono cresciuta in una famiglia che ha sempre praticato la musica. I miei genitori hanno cantato nei cori, specialmente in quelli della chiesa, e io stessa ho cominciato a cantare in un coro di bambini all’età di 6 anni. Il mio incontro con l’opera è avvenuto più tardi. Nel 1992 vidi la Tosca in tv con Catherine Malfitano, Placido Domingo e Ruggero Raimondi, diretti da Zubin Mehta, e fui molto impressionata. All’età di 13 anni assistei a un’opera dal vivo per la prima volta. Era I racconti di Hoffmann di Jacques Offenbach, allestita a Treviso. Rimasi sbalordita. Per quanto riguarda il mio coinvolgimento personale nell’opera, tutto è iniziato in modo piuttosto casuale. Mentre cantavo nel coro della chiesa, mi resi conto che la mia voce stava diventando più potente, e un amico di famiglia mi suggerì di intraprendere degli studi di musica in modo più approfondito. Così mi iscrissi alla Scuola di musica di Belluno. Poi proseguii gli studi al Conservatorio di Venezia.
Quali figure hanno influito di più su di lei, nella sua vita professionale e personale?
Sono grata a tutti gli insegnanti che ho incontrato. Mi hanno influenzato sia come artista che come donna. Nella mia vita privata, il sostegno della mia famiglia è stato fondamentale. Sono riconoscente alla mia famiglia per avermi sostenuta in questa impresa che non offre ai giovani garanzie di successo. Vista dall’esterno, la vita di un’artista può sembrare piena di sfarzo, glamour e gloria: le serate di gala, gli applausi, lo status di celebrità, ma in realtà comporta molti aspetti difficili come la possibilità del fallimento. Implica anche una frequente separazione dai propri familiari.
Nel corso della sua carriera, lei si è esibita in prestigiosi teatri in tutto il mondo. Il pubblico è diverso quando si cambia Paese?
Il pubblico è diverso nel senso che le varie nazioni percepiscono le esibizioni in modi differenti, tuttavia le persone sono ovunque le stesse in termini di amore per la musica. In tutto il mondo si sta perdendo il senso della performance dal vivo, della comunicazione diretta tra l’artista e il pubblico. Tuttavia ho scoperto che l’accoglienza dell’opera e della musica da parte dei giapponesi è unica. I giapponesi hanno una sorta di venerazione per l’opera. Dopo le rappresentazioni sono sempre lì a chiedere autografi. Anche negli Stati Uniti e in Francia ho sempre ricevuto una grandissima accoglienza. Tuttavia, ogni Paese esprime il proprio entusiasmo in modi diversi.
Nel gennaio scorso lei ha debuttato alla Met, la Metropolitan Opera di New York, dove ha interpretato Fedora nell’omonima opera di Umberto Giordano. Com’è stata questa esperienza?
Mi ha cambiato la vita. È stato un dono immenso per me debuttare sotto la bacchetta del maestro Marco Armiliato e con la direzione di David McVicar. Adoro il ruolo di Fedora. Collegare questo debutto a uno dei miei personaggi preferiti, ha lasciato un segno indelebile nella mia memoria. Il calore del pubblico newyorkese, il sostegno del Teatro, dei miei colleghi e dello staff hanno fatto sì che potessi dare il massimo. È stata davvero una serata memorabile.
Molti credono che la musica lirica sia destinata a un pubblico colto e maturo, e che sia quindi lontana dai giovani. Che ne pensa?
L’opera può sembrare distante ed elitaria, ma in realtà è stata concepita per parlare alla gente comune. Ecco perché è immortale. Tratta temi che saranno sempre rilevanti per l’umanità come l’amore, il tradimento, la lealtà, la moralità, ecc. Ad esempio, ho fatto il Mefistofele di Arrigo Boito dove ho interpretato Margherita. Il tema di quest’opera affronta dinamiche psicologiche ancora attuali per l’umanità, nonostante l’opera sia stata originariamente scritta in un italiano arcaico, settecentesco. Nonostante il linguaggio antiquato, il messaggio dell’opera, i sentimenti e le emozioni che trasmette sono le stesse di allora. Se oggi l’opera non è apprezzata dai giovani, è solo a causa delle carenze dei sistemi educativi. La musica, soprattutto in Italia, non viene insegnata abbastanza nelle scuole. Questo è deludente perché se oggi la lingua italiana è conosciuta nel mondo è solo grazie alla musica che ha incorporato parole italiane come adagio, lento, allegro, ecc. Nella maggior parte degli altri Paesi del mondo, la musica fa parte della vita, ma gli italiani sembrano aver perso il contatto con questa parte del loro patrimonio. Oggi, ad esempio, è raro che le persone si incontrino e cantino insieme, e non solo in Italia.
Quali ruoli si adattano meglio alla sua voce, al suo temperamento e alla sua personalità?
Mi trovo molto a mio agio con il repertorio di Giuseppe Verdi e di Giacomo Puccini. È lì che la mia voce riesce a offrire il suo massimo potenziale. Mi piace rivedere un po’ di me in tutti i personaggi che porto in scena, ma mi sento più vicina a personaggi forti come Tosca, o come Maddalena in Andrea Chénier di Umberto Giordano. Entrambe sono donne che non hanno paura di dominare la situazione; non sono donne passive, e questo mi piace molto.
Lei ha una particolare predilezione per il personaggio di suor Angelica nell’omonima opera di Puccini. Perché?
È uno dei miei personaggi preferiti, e sono felice di averlo interpretato al Nuovo Teatro Nazionale di Tokyo. Quest’opera mi tocca nella mia vita privata perché tratta il tema della maternità che è importante per ogni donna. Mi piace molto il modo in cui Puccini sviluppa il personaggio della madre, e il rapporto tra suor Angelica e la Vergine Maria.
C’è un brano musicale che la fa sentire particolarmente vicina a Dio?
Tutta la musica è un’espressione di Dio. Vedo Dio in tutta la musica perché è un dono, una benedizione. Alcuni brani musicali sono più spirituali di altri. Ad esempio il Miserere di Gregorio Allegri tocca grandi vette, come anche Giovanni Battista Pergolesi. E trovo anche in Giuseppe Verdi una grande vicinanza a Dio. Il suo Requiem, ad esempio, è così commovente che è impossibile pensare, secondo me, che Verdi fosse ateo, come alcuni sostengono. Un ateo non può comporre una tale musica; è un lavoro molto profondo. Un altro pezzo che non è di natura religiosa, ma raggiunge grandi vette di bellezza, è Beim Schlafengehen di Richard Strauss, che porta con sé un’enorme spiritualità.
La Chiesa ha sempre usato la musica nella liturgia. Crede che la musica sacra, in particolare il canto, possa aiutare a elevare i fedeli a Dio?
Assolutamente sì. Talvolta la musica è il mio modo di pregare. Ci sono momenti in cui prego esclusivamente attraverso la musica. La Chiesa ha avuto, nel corso dei secoli, i più grandi artisti e musicisti. La musica è lo strumento più immediato che abbiamo per comunicare con Dio. Recentemente, quando ero a New York, mi sono accorta di una cosa molto bella, e cioè che nelle chiese americane c’è l’ottima consuetudine di inserire lo spartito nei libretti di musica, così che quando canti puoi leggere anche le note, e puoi cantare meglio. Spero che questa pratica venga adottata anche in Italia.
Le piacciono le opere rock come Il Fantasma dell’Opera e I Miserabili?
Personalmente le apprezzo. Credo che siano la naturale continuazione dell’opera. Non sono così lontane dall’opera classica, anche se appartengono a un genere diverso. Tecnicamente sono musical, ma sono belli da vedere e ascoltare. Tutto ciò che è bello e parla al cuore umano è degno di ammirazione.
Cosa fa quando è lontana dal palcoscenico?
Ho pochissimo tempo libero. Belluno, la città in cui sono nata, si trova nel mezzo delle Dolomiti. Quando posso, mi piace fare trekking in montagna. Camminare nel bosco mi dà l’opportunità di trascorrere un po’ di tempo con me stessa e di riflettere. Sfortunatamente non mi capita spesso, quindi se non posso fare trekking sulle Dolomiti, cammino nelle città in cui mi esibisco.
Ha qualche rapporto con sant’Antonio?
Sono stata in pellegrinaggio alla Basilica del Santo con la mia famiglia in molte occasioni. Antonio è un santo spesso presente nella mia vita quotidiana. Mia nonna era abbonata al «Messaggero di sant’Antonio» e lo leggevo sempre quando andavo a trovarla. Quindi il mio cuore è davvero legato al Santo di Padova.
(Traduzione e adattamento dall’edizione inglese di Alessandro Bettero)
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