Vita nuova a Guarambaré
Manuelito risucchia uno spaghetto con le labbra a «U», Luis tuffa il naso in un bicchiere di succo d’arancia, mentre Maria, che avrà meno di 10 anni, imbocca il fratellino di 1. Intorno un ribollire d’energia, una frenesia di gesti, di chiacchiere, di giochi. Fra Marek Wilk, il parroco polacco, ribattezzato Marcos da queste parti, si gode lo spettacolo delle tavole imbandite sul fazzoletto di terra davanti alla mensa sociale «Marcelino Pan y Vino». Il centinaio di piccoli parrocchiani che ogni giorno viene a mangiare qui, ma anche a fare i compiti e a giocare, oggi è in festa. Un pezzettino di futuro del Paraguay sta per iniziare proprio da questa piccola mensa a Guarambaré, città di periferia a 34 chilometri da Asunción, la capitale. Un futuro che ha radici lontane, ma che aprirà un nuovo capitolo proprio in occasione del 13 giugno, festa di sant’Antonio, con il lancio di un progetto sociale a lungo atteso.
La missione dei frati
I frati minori conventuali arrivano a Guarambaré nel febbraio del 2001, per assumersi la cura della parrocchia Natividad de Maria – nella diocesi di San Lorenzo – spalmata in 17 tra cappelle e oratori. Rispetto ad Asunción, qui è un altro mondo. Come in tutte le zone rurali dell’interno, la povertà è grande. Un malessere che si traduce in tossicodipendenza, alcolismo, violenza familiare. Particolarmente grave la situazione dei più giovani: molti hanno un’istruzione carente e scarse possibilità di lavoro, che li portano a scegliere la via dell’illegalità. C’è poi la piaga delle madri sole che devono provvedere ai figli, senza avere alcun mezzo. Eppure c’è una dignità in questa gente che colpisce fra Marcos fin dall’inizio: «Guarambaré è un paese antico, fondato nel 1538. Qui c’è gente semplice, umile, radicata nelle sue tradizioni e nella sua cultura, grandi lavoratori che si guadagnano il pane quotidiano con il sudore della fronte». Nonostante ciò, il lavoro è poco e precario: «Le donne fanno le domestiche nelle case dei ricchi, gli uomini lavorano nelle costruzioni, ma moltissimi fanno gli ambulanti. C’è anche chi va a vendere frutta nelle strade di Asunción». Una minoranza ha un impiego statale o in qualche impresa. Ma sono eccezioni.
«È stato importante che fossi un francescano, per entrare in relazione con la gente – afferma fra Marcos –. Guarambaré è una delle 52 reducciones francescane, ovvero villaggi fondati dai primi missionari nel XVI secolo. Sono stati i francescani in Paraguay ad aver tradotto nella lingua Guaraní il primo Catechismo della Chiesa cattolica, e nei momenti più cruciali della storia del Paese sono stati i francescani secolari a conservare e a trasmettere la fede». Nella vicenda controversa della colonizzazione spagnola e portoghese, l’incontro tra il cristianesimo e la cultura Guaraní ha trovato nel tempo un’intesa, un superamento del male e della storia, scritta solo dai potenti. Una vicenda ben raccontata dal film Mission (1986) di Roland Joffé, ambientato proprio in Paraguay. La gente di Guarambaré ha una fede profonda, frutto di questo incontro di spiritualità e di secoli di storia.
I giovani al centro
Fra Marcos, che oggi opera con fra Marcos Dubanik, polacco anche lui, e fra Carlos Jara del Paraguay, è tra i primi ad arrivare. Il lavoro è tanto, ma i frati non iniziano da zero. Prima di loro, altri francescani, i minori, rimasti qui fino al 1989, avevano cominciato alcune opere sociali. La scelta della nuova gestione della parrocchia punta fin dall’inizio a cambiare il futuro dei bambini e dei ragazzi, con una forte pastorale educativa, migliorando e ampliando l’infrastruttura scolastica e riuscendo addirittura a portare a Guarambaré una sede staccata dell’Università Cattolica di Asunción, circa 15 anni fa: «Il sistema educativo del Paraguay è tra i peggiori del mondo – spiega fra Marcos –, sia come strutture che come organizzazione, a causa della cattiva gestione e della corruzione diffusa. L’abbandono scolastico è molto alto e il livello di preparazione, anche per chi frequenta, è scadente. Oggi nella parrocchia abbiamo una scuola e un collegio in cui studiano 1.200 tra bambini e ragazzi, mentre altri 700 possono frequentare l’università. Vale la pena ricordare che Caritas sant’Antonio ci ha sostenuto anche in questo impegno della nostra parrocchia, aiutandoci a costruire, nel 2013, tre aule per le elementari».
La nascita del Comedor
Nello stesso tempo vanno allargandosi le attività caritative a più livelli, con l’istituzione di una Caritas parrocchiale, nel 2006, soprattutto per gli aiuti basilari: cibo, vestiti, medicine. Ma è la costruzione di una piccola mensa, nel 2016, a dare una svolta inattesa alla vita della parrocchia. Il 28 dicembre di quell’anno, non a caso il giorno dei Santi Innocenti, i frati aprono il Comedor comunitario «Marcelino Pan y Vino» ai 60 bambini più poveri della comunità, quelli che vivono negli asentamientos, agglomerati di case precarie. «Nostro intento non era solo dar loro da mangiare, ma sottrarli ai molti pericoli dei quartieri degradati». E in effetti presto la mensa rimane aperta anche nel pomeriggio, per svariate attività, non solo il doposcuola e il catechismo, ma anche l’educazione sanitaria e dentale, le vaccinazioni, i giochi, le feste, come quella dei Re Magi. «Proprio in occasione delle feste, abbiamo avuto modo di conoscere i genitori e di capire i tanti problemi familiari, che spaziavano dalla mancanza di cibo alle questioni legali. Per fortuna abbiamo sempre avuto molti volontari che ci hanno permesso di organizzare servizi a vari livelli e di avere a disposizione cibo e materiali essenziali. In anni recenti la presenza dei nostri ragazzi all’università ci ha consentito di aprire anche servizi specialistici, come quello legale o psicologico». Tutto ciò ruota intorno alla mensa in collaborazione con la Caritas diocesana.
La pandemia
Un altro spartiacque è la pandemia. A marzo del 2020 il Comedor «Marcelino Pan y Vino» è costretto a chiudere i battenti, portando la gente – che a quel punto aveva perso anche il lavoro precario – alla disperazione.
I frati chiedono i permessi alle autorità e, ad aprile, il Comedor ritorna funzionante. Grazie all’aiuto delle Sorelle di Santa Isabel, si organizza un servizio mensa all’esterno della struttura, che tuttora funziona a favore dei poveri della comunità, mentre nel Comedor non più 60 ma 100 bambini hanno oggi accesso a un pasto e al loro pomeriggio sempre più ricco di stimoli e possibilità. Ma tanti altri bambini, purtroppo, rimangono fuori. In tempo di pandemia la parrocchia diventa anche la sede del Comitato di emergenza: insieme alle autorità municipali, nei suoi locali si raccolgono viveri e materiali per la distribuzione, mentre i volontari della parrocchia accolgono e smistano le richieste di aiuto. Segno che la parrocchia è diventata un punto di riferimento nella vita della cittadina.
Il progetto
«Giorno dopo giorno, aumentano le richieste di aiuto – afferma fra Marcos – ed è ormai evidente che c’è bisogno di fare un salto di qualità. Il nostro sogno è una struttura più grande, con cucina e sala mensa più capiente, che possa ospitare tutti i bambini che ne hanno bisogno. Una struttura anche dotata di uffici e ambulatori, in cui organizzare i tanti servizi che oggi offriamo alla comunità in modo informale e precario. Un centro polifunzionale, in cui la comunità possa riunirsi per iniziare a pensare più in grande. In onore di quel primo nucleo di lavoro comunitario che è stato il Comedor, manterremo il nome e lo chiameremo Centro sociale “Marcelino Pan y Vino”. È questo il sogno che vorremmo realizzare con voi per la festa di sant’Antonio».
Ha tanti bei ricordi dei suoi parrocchiani fra Marcos. Alcuni gli hanno cambiato l’esistenza. «Ninfa era un’adolescente piena di fede e di vita. Aveva un sacco di progetti e credeva nel futuro, tanto da diventare leader di un gruppo giovanile. Poi si è ammalata gravemente; qualche giorno prima della sua morte, sono andato a trovarla e, mentre parlavamo del suo recupero, di tutte le cose che avremmo fatto insieme, lei mi ha salutato con le parole del Salmo: “Ciò che semini tra le lacrime, raccoglierai cantando”. Parole che mi hanno segnato». Ma la speranza s’incontra dove meno te l’aspetti: «Un giorno ero ad Asunción per sbrigare delle faccende e un ragazzo si è avvicinato e mi ha chiesto se lo riconoscevo. Era stato uno studente del collegio parrocchiale. Gli chiesi che cosa facesse lì. Mi disse con sincerità che era venuto la mattina presto con il padre per vendere frutta in strada, a mezzogiorno avrebbero smesso per tornare in tempo a casa, prepararsi per andare al collegio e studiare alla sera. Imparo ogni giorno da loro a prendere le distanze dai futili problemi e a far fruttare la vita che è un dono prezioso. Tutto quello che facciamo a favore degli altri, con cuore disinteressato, anche se è una goccia nell’oceano, ha la sua ragion d’essere, perché va oltre noi, ci trascende, ci riporta a Colui che dà senso a tutte le cose».
Puoi leggere l'intero articolo, arricchito di approfondimenti, nel numero di giugno del «Messaggero di sant'Antonio» e nella versione digitale della rivista. Provala ora!