La luce delle piccole cose
«Il fuoco è incorporeo e invisibile per sua natura, ma quando investe qualche oggetto assume varie colorazioni a seconda dei materiali nei quali brucia. Così lo Spirito Santo non può essere veduto se non per mezzo delle creature nelle quali opera» (Sermone di Pentecoste).
Viviamo spesso senza lasciarci provocare, senza farci domande, anche di fronte a contraddizioni che di per sé sono evidenti ma delle quali nemmeno ci accorgiamo. Faccio subito un esempio. Siamo tutti un po’ figli di una mentalità «scientifica» e tecnologica, per cui siamo istintivamente portati a ritenere «vero» ciò che si può dimostrare, inclini a dare importanza a ciò che produce qualcosa di misurabile. Ma nello stesso tempo – ecco la contraddizione – spendiamo buona parte del nostro tempo correndo dietro a ciò che è virtuale, dove spesso non vi è nulla di concreto e dimostrabile; e dove altrettanto di frequente non si ottiene alcun risultato effettivo; anzi, dopo ore impiegate nei cosiddetti social media ci si ritrova spesso svuotati. Noi, persone scientifiche e tecnologiche, veniamo così abbindolate e ci lasciamo trascinare nei meandri di una «realtà irreale».
Sant’Antonio sembra suggerire il fascino di una prospettiva inversa: partire da ciò che appare irreale e per nulla verificabile per constatarne, invece, l’azione concreta ed efficace. Il nostro Santo parla dello Spirito Santo e lo paragona al fuoco. Il fuoco è inafferrabile, non ha una sua consistente corporeità; per certi versi è invisibile, nel senso che non ha un colore suo proprio, ma assume le tonalità cromatiche degli oggetti che brucia. Che il fuoco sia in azione, in altri termini, lo si vede dagli effetti che produce; e questi assumono caratteristiche diverse a seconda di ciò che le fiamme investono.
Questa osservazione la applica, in modo analogo, allo Spirito Santo. È sfuggente, è la Persona della Santa Trinità per certi versi meno descrivibile. Si può dire che lo Spirito Santo è riconoscibile nel suo esserci a partire dai frutti che possono essere assaporati o, meglio, dalle molte qualità di un unico frutto che san Paolo così descrive: «Amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). Potremmo aggiungerne all’infinito, di frutti così. Se una persona impulsiva e piuttosto permalosa si lascia interrogare dallo stile di Gesù e alla fine si scopre capace di perdonare e accogliere, si può dire che lì è lo Spirito: il suo fuoco si è colorato di misericordia. Se una persona chiusa e alquanto egoista a un certo punto si lascia ispirare dall’esempio di generosità di un santo e sceglie di prendersi cura di una persona malata, anche lì si può dire che lo Spirito Santo stia operando e in tal caso si è colorato di compassione. Tanti colori, dell’unica fiamma dell’invisibile Spirito.
Chissà, questa logica dello Spirito potrebbe aiutarci a valutare un po’ meglio anche le cose della nostra vita ordinaria. Magari scopriamo che talvolta, dando importanza a ciò che appare inutile o di poco conto, alla fine ci regala frutti più buoni e inaspettati. Stringere la mano a un amico e una bella chiacchierata con lui, tanto per fare un ultimo esempio, lascia nel nostro cuore una traccia più saporita di tante ore spese a rivendicare «produttivi» ruoli di prestigio.
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