Una storia senza guerra
«Il soldatino del pim pum pà» è una vecchia fiaba scritta dal grande autore per l’infanzia Mario Lodi. Racconta di un certo padron Palanca, il quale, non contento della sua già immensa ricchezza, va a proporre al re di dichiarare una guerra ai vicini, in modo tale che lui possa vendergli per cento stramilioni la strabomba che ha appena costruito ed arricchirsi così ancora di più. Il re abbocca, rassicurato da Palanca che compra anche alcune tv per convincere i cittadini dell’inevitabilità del conflitto bellico. Tutto sta per capitolare, se non fosse che il soldato che deve sganciare la strabomba si rifiuta di farlo, perché nelle potenziali vittime riconosce la comune umanità. Ed è così, conclude la fiaba, che «da quel giorno un’altra storia incominciò. In tutta la terra una storia senza guerra».
È solo una fiaba, appunto, ma, come tutte le fiabe, illumina le dinamiche perverse che spesso governano il mondo e caratterizzano le relazioni tra esseri umani o tra nazioni. Anche oggi. Già, perché oggi di padron Palanca è pieno il mondo: multimiliardari che, per arricchirsi ancora di più, fanno lievitare la produzione, il commercio e soprattutto la finanza legata alle armi, giocando con la vita di centinaia di migliaia di persone. Lo dicono i numeri: nel 2023 la spesa per la difesa a livello mondiale ha raggiunto 2.240 miliardi di dollari (Fonte: Sipri), pari al 2,2% del Pil mondiale, con un aumento del 9% rispetto alla precedente rilevazione. Un record. Il tutto mentre, pressoché ovunque, si fatica a reperire i fondi per l’istruzione o la sanità o la difesa dell’ambiente. Un rapporto dell’International Peace Bureau è illuminante in tal senso: basterebbe rinunciare a una sola fregata multiruolo europea (Fremm) per reperire i fondi per pagare lo stipendio di 10.662 medici all’anno (media Paesi Ocse). Ma, certo, bisognerebbe scegliere di rinunciare a una fregata o a una delle ultime sofisticatissime armi, per investire in beni di pubblica utilità. E questa scelta sarebbe uno dei compiti della politica che però, come ben sappiamo, ormai da anni è succube dello strapotere finanziario che genera ricchezza, per pochi, completamente sganciata dall’economia reale.
Finanza armata
Tra febbraio e marzo di quest’anno, le 71 «banche etiche» del mondo, raggruppate sotto la sigla Gabv (Global Alliance for Banking on Values), hanno diffuso un dettagliato rapporto di 32 pagine nel quale lasciano parlare i numeri della cosiddetta «finanza di guerra», quel composito mondo fatto di istituti finanziari, borse valori, singoli investitori che hanno scommesso sui conflitti nel mondo per arricchirsi: bene, tale investimento a livello mondiale ammonta a circa 1.000 miliardi di dollari. A guidare la classifica sono gli Stati Uniti, con investimenti che raggiungono più di 500 miliardi di dollari, mentre in Europa, solo le 15 maggiori banche, in armi investono circa 88 miliardi di dollari. E l’Italia? Al momento in cui scriviamo, la Legge di bilancio non è stata ancora approvata, ma, a detta del ministro della Difesa Crosetto, passeremo «dall’1,54% di quest’anno, all’1,57% del 2025» per poi giungere gradualmente al 2% nel 2028. Eppure le 71 banche etiche, che insieme al rapporto hanno diffuso un ulteriore documento, la «Dichiarazione di Milano: Manifesto per una finanza di pace», continuano a dire al mondo che una finanza di pace è possibile, e proprio loro ne sono la dimostrazione.
«Per capire i termini esatti della faccenda – spiega Anna Fasano, presidente di Banca Etica – va fatta una premessa: benché tutto il tema degli armamenti si poggi prevalentemente su risorse pubbliche (perché in sostanza è lo Stato che spende in armamenti una percentuale ben definita del Pil), i soldi che fanno arricchire davvero non vanno agli Stati, ma transitano per lo più attraverso la finanza speculativa, finendo nelle mani di pochi azionisti. Ed è questa speculazione che ammonta a quasi 1.000 miliardi di dollari, un importo sbalorditivo se pensiamo che a esso non corrisponde un aumento del benessere reale della società». La classifica dei grandi investitori nel settore delle armi è guidata dagli Usa, abbiamo visto: niente di strano, viene da pensare, dal momento che da sempre vengono dipinti come i «difensori del pianeta».
Ma è proprio così? «Non esattamente – prosegue Fasano –. Quella degli Usa è una scelta politica, oltre che finanziaria ed economica. Nel Paese, infatti, l’investimento nelle armi avviene su più livelli. Civili (pensiamo alla diffusione di armi da fuoco tra la cittadinanza), militari (al di là dell’intervento diretto nei conflitti, circa 750 basi militari americane sono mantenute operative e vengono alimentate in tutto il mondo), economici (l’industria bellica statunitense sviluppa armamenti sempre più sofisticati ed è di gran lunga la principale esportatrice globale). Quindi la loro non è una scelta dettata dalla volontà di salvare il pianeta». Intanto anche l’Europa, attraverso la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, qualche mese fa ha annunciato di voler incrementare il settore delle armi, sia per questioni economiche che per questioni di sicurezza. E pure Mario Draghi, presentando qualche mese fa il rapporto sul «Futuro della competitività», ha espresso il medesimo auspicio.
Ma davvero non c’è altro modo per migliorare le nostre finanze (oltre che la nostra sicurezza)? «A mio avviso – chiarisce Fasano – c’è all’origine un’idea sbagliata. Non voglio criticare Draghi né alcune parti del suo rapporto, ma quel documento si basa sul presupposto, errato, che investire nella difesa, oltre che strategico per far fronte alle minacce, rappresenti un driver, vale a dire un volano di crescita anche per altri settori. Ma questo oggi non è più vero: è ciò che deriva dalla ricerca civile ad avere ora degli impatti nell’industria militare. E lo dice “Forbes”, non Banca Etica… Basti pensare all’Intelligenza artificiale, frutto della ricerca del settore civile e passata solo successivamente a quello della difesa».
Appare dunque chiaro che la corsa al riarmo è spinta in grande misura dai crescenti profitti e dai guadagni finanziari che contraddistinguono le azioni delle imprese a produzione militare. Lo conferma una volta di più un recente rapporto di Mediobanca, il quale afferma che, tra l’inizio del 2022 e l’ottobre del 2024, il rendimento azionario delle prime 33 industrie della difesa quotate in borsa, pari al 72,2%, è più del triplo di quel 20,1% registrato dall’indice azionario mondiale (dato già molto alto rispetto all’andamento dell’economia reale). Dinanzi a tutto ciò, da più parti si è auspicata la creazione di una tassa sugli extra profitti dell’industria bellica.
Ma sarebbe fattibile? «Il concetto di extra profitti è sempre un po’ difficile da definire: extra in base a che cosa? – chiarisce la presidente di Banca Etica –. Forse sarebbe meglio pensare a una tassazione maggiore di tutte quelle realtà, tra cui l’industria bellica, che perseguono investimenti non sostenibili, perché producono danni alle persone e all’ambiente. Purtroppo anche qui c’è un vulnus: alcuni Paesi in Europa vorrebbero infatti inserire gli armamenti nella Tassonomia sociale (la classificazione di quelle attività ritenute sostenibili dal punto di vista sociale, in base ad alcuni parametri), come se essi fossero un bene che garantisce risorse anche alle generazioni future… Ma se veramente il mercato delle armi rispondesse solo al bisogno di difesa e non alla speculazione, basterebbe stabilire dei prezzi imposti, bloccati: già questo provocherebbe un minor interesse a investire sulle fluttuazioni.
E non dimentichiamo che è ancora fermo alla Camera l’iter di modifica della Legge 185/90 che attualmente consente ai cittadini e al Parlamento di sapere, tra le altre cose, quali sono le banche che finanziano il mercato delle armi, mentre il Senato ha già deciso, lo scorso 21 febbraio, di cancellare proprio questi meccanismi di trasparenza e di controllo parlamentare.
Puoi leggere la seconda parte del dossier - compreso un approfondimento firmato da Roberto Reale - nel numero di gennaio del «Messaggero di sant'Antonio» (prova qui la versione digitale) e prossimamente su questo sito!