Un 2025 nel limbo degli Usa
Che cosa ci lascia il 2024? Innanzitutto il peso dei crimini di guerra per molti di noi fonte di profonda angoscia. Gaza in questo senso è la punta di un iceberg. Ma genocidi, stragi di innocenti, devastano pure altre parti del pianeta, in Europa, Asia e Africa, continente lacerato da conflitti purtroppo eternamente «dimenticati». Le voci che si levano per fermare questo bagno di sangue sono forti e autorevoli e anche i popoli non direttamente coinvolti chiedono il cessate il fuoco, perché la crescente spesa militare peggiora le condizioni di vita anche nei «Paesi ricchi». La speranza è che il 2025 sia l’anno della pace. Non è una prospettiva remota, va rilanciata e alimentata, non abbiamo alternative.
In questo contesto, ai primi di novembre c’è stato l’evento politico più atteso del 2024: le elezioni americane che hanno sancito il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Non mi dilungherò qui in lunghe analisi. Voglio solo riferire un aspetto della notte elettorale USA rimasto in ombra in Italia. Prima dello scrutinio vero e proprio, le tv americane hanno l’abitudine di diffondere degli exit poll tematici. La prima domanda riguardava il giudizio su come stesse andando il Paese. I risultati erano già in sé clamorosi: il 43% degli elettori si definiva insoddisfatto, mentre il 29% si diceva arrabbiato. Se fate la somma, siamo a oltre il 70%. Già a quel punto risultava evidente che per il candidato repubblicano la strada era in discesa, pur non essendo il giudizio su di lui particolarmente lusinghiero.
E veniamo alle «preoccupazioni» degli elettori. Abbiamo parlato prima di guerre: volete sapere in quanti hanno deciso pensando alla politica estera? Solo il 4%. Ma alla questione climatica è andata pure peggio: totalmente assente dalla campagna elettorale. Non è che l’argomento non interessi agli americani, è che non è entrato nel dibattito che ha preceduto il voto. Le nostre democrazie ruotano intorno a ciò di cui si parla. Se i riflettori sono puntati tutti sull’immigrazione illegale e sull’aumento del costo della vita, il futuro del pianeta scompare, proprio in uno dei Paesi che scaricano nell’atmosfera più emissioni.
E così ritorna alla Casa Bianca un miliardario coinvolto in svariati procedimenti giudiziari, persino condannato. Non ci avevano spiegato che negli Stati Uniti vige una inflessibile morale puritana che non perdona i peccatori? Sarà bene ricrederci. Ma la novità più «intrigante» è un’altra: Trump ha vinto con il totale supporto finanziario, mediatico, esplicitamente militante, di un personaggio che ha un patrimonio quasi cento volte maggiore del suo. Stiamo parlando di Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, con interessi che raggiungono, attraverso la sua rete di satelliti, ogni parte del globo. Il suo appoggio ha offerto al candidato repubblicano qualcosa che gli mancava: l’attenzione dei giovani, uno sguardo verso il futuro. L’ultima domanda allora è: perché un team di miliardari esercita tanto fascino sui ceti popolari? La risposta più semplice è che, in un’epoca in cui il denaro costituisce la misura di tutte le cose, il ricco e potente viene letto come quello che ce l’ha fatta e forse può aiutare anche te. Sarà il 2025 a dirci come andranno le cose.
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