La bufala del merito
Mi è capitato di ascoltare di notte una trasmissione di Radio1 sul tema del merito, in particolare del merito a scuola. Il conduttore non aveva alcuna idea del dibattito culturale e scientifico sul merito, che è antichissimo: un suo punto di partenza è il libro di Giobbe, poi i vangeli, Agostino, Pelagio, Lutero… I suoi due ospiti erano entrambi entusiasti per la rivoluzione del merito in corso nel nostro Paese. Così, senza alcun contraddittorio, facevano propaganda al nuovo verbo meritocratico. Uno degli ospiti, per spiegare l’urgenza vitale di introdurre il merito nella scuola – come denota il preoccupante cambiamento nel titolo del ministero dell’Istruzione –, utilizzava la metafora dello sport per applicarla alla scuola. E affermava: tutti hanno diritto a fare attività sportiva, ma solo i più capaci vincono le medaglie; così deve essere anche nella scuola: tutti devono andare a scuola, ma bisogna costruire un sistema dove i più bravi possano vincere le loro medaglie. Il merito era presentato come il grande assente dalla nostra scuola, livellata e non meritocratica, e quindi i nostri studenti migliori non possono fiorire, anche per la triste peculiarità delle classi con presenza di alunni con problemi di apprendimento che si trovano, purtroppo, nelle stessi classi dei più capaci, per colpa di una società pietista e cattolica che danneggia i più bravi appesantiti dai meno capaci.
Un’esperienza notturna che dice quanto velocemente e radicalmente stiano cambiando i valori condivisi sulla nostra società, sulla nostra economia, sulla nostra scuola. Il merito declinato come meritocrazia è diventato ormai un vero dogma della nuova religione del nostro tempo, cioè quella del business e del consumo, una religione che ha soppiantato in Occidente il cristianesimo e a breve sostituirà anche le altre religioni non occidentali. E, come tutti i dogmi, si presenta come una realtà primaria, da assumere come vera senza metterla seriamente in discussione se non si vuole uscire dal credo della religione. Se non fermiamo subito questa deriva meritocratica, ci troveremo presto con classi speciali per i bambini «disabili», per permettere ai «normo-dotati» di studiare senza disturbi molesti, e getteremo nella spazzatura duemila anni di cristianesimo, secoli di fraternità civile, e avrà vinto Erode.
Ripenso all’esperienza di una mia amica «insegnante di sostegno» – espressione eticamente stupenda – in una scuola elementare, che mi raccontava un episodio con un bambino con autismo. Un giorno gli ha chiesto di cantarle la canzone dei sette nani di Biancaneve che vanno a lavorare. Improvvisamente, tutta la classe si è messa a marciare con lui. Una marcetta che è stata un dono e un aiuto della classe a quel bambino, ma che prima ha educato tutte e tutti gli scolari. Se quei bambini saranno buoni cittadini e brave persone, dipenderà dalla qualità delle lezioni e degli insegnanti, certo, ma anche e forse di più da quei trenini di amicizia, che li alleneranno alla vita lavorativa e civile, la cui qualità etica dipenderà dalla capacità che avranno di andare a lavorare felici come quei sette nani, con lavoratori diversi da noi ma con i quali dobbiamo imparare a collaborare.
Tra gli elementi più inquietanti di 1984, il romanzo di George Orwell, c’è il cambiamento dei nomi dei ministeri del nuovo stato di Oceania, tra cui il «ministero dell’Amore» e il «ministero della Verità». Gli imperi cambiano i nomi come vorrebbe fare la magia, che crede di cambiare la realtà manipolando le sue parole. Ma, grazie a Dio, fuori dalle fiabe, le caverne non si aprono pronunciando «Apriti sesamo»! Ci vuole molto di più.
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