Il progetto impossibile
La povertà non è solo mancanza di pane, ma è anche, e a volte soprattutto, mancanza di conoscenze, che da sole potrebbero essere una leva di autosviluppo. Le due operatrici di Caritas sant’Antonio, Silvia e Claudia, toccano con mano ogni giorno questa verità, quando esaminano le richieste di aiuto che arrivano dai Paesi più poveri: «Ingenuità e mancanza di consapevolezza portano spesso i richiedenti a presentare progetti confusi, non calibrati rispetto alle necessità, privi di conoscenze tecniche e abilità organizzative – spiega Claudia –. Un biglietto da visita molto poco rassicurante. E dal momento che nessuna organizzazione di solidarietà può essere ovunque per controllare e verificare, il risultato è che spesso proprio le realtà più povere e isolate rimangono fuori dagli aiuti».
Caritas sant’Antonio si è sempre posta il problema di come superare questo corto circuito, senza mettere a rischio i fondi donati con tanta fiducia. «Per prima cosa – afferma Silvia – bisogna resistere alla tentazione di abbandonare tutto, mettendosi con pazienza a ricostruire la condizione effettiva del progetto. In questi casi è fondamentale rintracciare la rete dei legami che sostiene la parrocchia o la missione che ha presentato il progetto: dal vescovo alle associazioni, dalle congregazioni che collaborano nel progetto agli eventuali contatti con le autorità e i tecnici locali. Un’azione che permette di fare controlli incrociati e di coinvolgere tutte le parti nella realizzazione del progetto. Un iter che diventa un processo di conoscenza reciproca, un nuovo modo di progettare lo sviluppo, che forma i beneficiari e rafforza la struttura di solidarietà.
Uno degli esempi più evidenti di tale presa in carico è un progetto a favore dei bambini e delle bambine tribali da poco concluso nell’entroterra di Srikakulam, nello Stato dell’Andhra Pradesh, in India. Tutto inizia a settembre del 2022, quando il vescovo della zona, monsignor Rayarala Vijaya Kumar, del Pime, viene in Caritas sant’Antonio e spiega le miserabili condizioni in cui versano la case di accoglienza, costruite dalla diocesi, per i bambini e le bambine delle popolazioni tribali, le più antiche dell’India e ancor oggi le più emarginate e povere. Gente che vive in villaggi sulle colline, praticando soprattutto l’agricoltura di sussistenza, spesso per conto di imprenditori senza scrupoli. In questo contesto di miseria l’educazione diventa superflua, i figli servono sui campi e comunque non ci sono i soldi per le rette o per mandarli nei luoghi dove la scuola c’è. Per questo, quasi venticinque anni fa, la diocesi ha costruito dei collegi per ospitare i bambini tribali e consentire loro di frequentare la scuola.
Il progetto per la ristrutturazione di uno di questi collegi, il Sacred Heart Boarding Homes nel villaggio di Nallarayaguda, arriva in Caritas sant’Antonio un mese dopo la visita del vescovo, con una lettera del suo segretario, padre Sateesh Kumar: «Il progetto era molto confuso – spiega Claudia – . Innanzitutto non si capiva chi avrebbe seguito i lavori in loco, chi avrebbe gestito la struttura e chi si sarebbe preso cura dei bambini». Molta confusione anche sui lavori richiesti: l’edificio era diviso in due parti uguali, una per i bambini e l’altra per le bambine, e aveva due blocchi di bagni esterni, totalmente da demolire e ricostruire. Il progetto comprendeva anche una ristrutturazione totale, seppur sommaria, di entrambe le ali dell’edificio, ciascuna su due piani: dai muri ai pavimenti, dagli impianti agli infissi, dai mobili alla costruzione della cucina. Il tutto per un preventivo di soli 17mila euro, una cifra impossibile anche se rapportata ai prezzi, inferiori rispetto ai nostri, dell’India. «Eravamo molto perplessi» confessa Claudia. Eppure quell’edificio fatiscente era l’unica possibilità di riscatto per 200 bambini e bambine ogni anno. Valeva la pena tentare.
Seguono lunghi mesi di verifiche. Caritas sant’Antonio non solo si ricollega al vescovo, ma si fa dare un referente fisso in loco e crea contatti con la superiora delle suore, le Little Sisters of Jesus Christ, che guidano la casa, e con la ditta di costruzioni. Inizia un lento lavoro di ristrutturazione, innanzitutto del progetto, ridefinendo priorità, costi, piano dei lavori. La spesa totale cambia radicalmente, ora ammonta a 41.350 euro, di cui 34mila chiesti a Caritas sant’Antonio e 7.350 a carico della diocesi. Il progetto è approvato il 4 ottobre del 2023. «Testiamo la collaborazione chiedendo al referente in loco di costruire il blocco dei bagni con i loro fondi – ricorda Silvia –. Noi avremmo mandato il nostro sostegno in tre rate, ad avanzamento dei lavori». Dopo la realizzazione dei bagni nel maggio del 2024, arriva la prima rata del contributo di Caritas sant’Antonio. A questo punto la corrispondenza si fa febbrile, con continue verifiche dello stato dei lavori. A fine dicembre 2024, la ristrutturazione è terminata.
«Per i bambini la nuova casa è un sussulto di gioia – scrive padre Sateesh Kumar –: i pavimenti nuovi, i muri colorati e l’acqua corrente nei bagni stanno cambiando la vita dei nostri piccoli. Sembra un sogno! La dignità si rafforza quando si vive in un luogo salubre e bello, il rischio di ammalarsi diminuisce grazie alle migliori condizioni igieniche e l’apprendimento migliora sensibilmente. Quando i genitori vengono a trovare i figli rimangono a loro volta meravigliati e anche grazie a questo capiscono l’importanza di mandarli a scuola». Ecco come un progetto all’apparenza inaffidabile può diventare una leva di sviluppo per i più emarginati. E un’occasione per i sostenitori di promuovere una «carità» davvero dalla parte degli ultimi.
Segui il progetto su www.caritasantoniana.org.
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