Abbracciamo i confini
L’altra sera sono andato a cena al ristorante con un mio amico. E mi sono trovato a riflettere su una questione: talvolta il confine dell’amicizia si mescola con l’assistenza alla persona, perché io, per esempio, non riesco a mangiare da solo. Dunque, mi sono chiesto: «La libertà dove sta?». L’amico, infatti, può anche decidere di non aiutarmi e io devo accettare il suo rifiuto. E allora mi è subito sorta un’altra domanda: «In che cosa consiste un’amicizia?». In questa vicenda si mescolano tante cose: i miei limiti fisici e i confini tra me e il mio amico. Una situazione interessante, che può diventare una metafora di quello che succede attualmente nel mondo. Un conflitto può iniziare per difendere un confine o per non accettare un limite. La disabilità unisce in pochi secondi il «limite» con il «confine», come nella situazione esemplificativa di cui sopra: la relazione è sempre un gioco di scambio.
Ad esempio, il confine può essere un elemento che protegge e garantisce la propria libertà, per cui io devo accettare che l’amico non mi dia da mangiare, ma anche lui deve accettare la mia reazione, perché potrei arrabbiarmi e così potrebbe iniziare un conflitto. Questo conflitto è anche dentro me stesso, tra l’accettazione dei miei limiti fisici e l’accettazione della libertà dell’altro, per cui non do la responsabilità al mio amico. Io credo che la disabilità possa essere una risorsa per capire e per affrontare questa dinamica: se una persona con disabilità ha bisogno di aiuto, come fa a rispettare e a non invadere i confini dell’amico?
Tante volte ho detto che il limite della disabilità ci obbliga a ridurre le distanze e a dare l’opportunità di oltrepassare i reciproci recinti, se gli interessati lo permettono, ovviamente. Può esistere una soluzione a questo gap, cioè a questo spazio tra sé e l’altro? E quale potrebbe essere? È nell’abbraccio che possiamo trovare il benestare dell’altro. Possiamo ricondurre il binomio concettuale «confine-limite» a quello dell’abbraccio. Quando abbracciamo qualcuno, ne tocchiamo la pelle, il «confine» del corpo. Ma se dall’altra parte c’è una persona che non desidera il contatto fisico, l’abbraccio può rivelarsi un ostacolo.
Mantenere le distanze da un lato è giusto, poiché si tratta di rispettare gli «spazi» altrui e quindi i confini, ma d’altro canto è rischioso, perché la distanza può aumentare la percezione della differenza e quindi la paura della diversità. Questo discorso può sembrare filosofico, in realtà è alla base di ogni relazione e di ogni contesto. Un contesto può essere anche fisicamente accessibile o meno, ma se non c’è un «abbraccio», una vera accoglienza, questo contesto può creare una «distanza».
Elisa, nel 2018, cantava Anche fragile: «Io un confine non lo so vedere / Sai che non mi piace dare un limite, un nome alle cose / Lo trovi pericoloso e non sai come prendermi, mi dici / Ma non so se ti credo / Senza tutta questa fretta mi ameresti davvero? / Mi cercheresti davvero? / Quella forte, sì, però anche quella fragile». E voi vi fate abbracciare, oppure siete voi che abbracciate? O avete timore di un abbraccio? Scrivete a claudio@accaparlante.it oppure sulle mie pagine Facebook e Instagram.
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