Cervelli al frullatore

Nell’era dell’iperconnessione, le nostre capacità mnemoniche, ma pure l’attenzione, il pensiero critico e addirittura l’empatia, sono a rischio. Lo dicono studi, ricerche e tantissimi libri.
08 Settembre 2025 | di

Chissà quanti tra coloro che hanno cominciato a leggere questo articolo arriveranno alla fine… (e no, per una volta la responsabilità non è solo di chi scrive, che può – o meno – riuscire ad attrarre e a mantenere l’attenzione del lettore). Decisamente pochi, se è vero quanto è emerso da un sondaggio su mille adulti statunitensi, commissionato dal Wexner Medical Center e dal College of Medicine dell’Ohio State University, che pone a otto secondi la soglia massima di attenzione, in media, di un lettore contemporaneo. Dato, peraltro, già emerso nel 2015 da una ricerca di Microsoft Canada. «Otto secondi rappresentano oggi la nostra curva d’attenzione abituale, il tempo medio dopo il quale la nostra mente perde il fuoco: quando leggiamo un articolo, quando ascoltiamo una musica, quando vediamo un filmato, quando parliamo con gli altri. Otto secondi. Meno di un pesce rosso» scrive Lisa Iotti in 8 secondi. Viaggio nell’era della distrazione (ilSaggiatore), un libro fondamentale per chi, da non addetto ai lavori, voglia comunque capire i meccanismi del cervello umano dinanzi alla fruizione del digitale. «I ricercatori – sottolinea l’autrice – hanno monitorato nel tempo l’attività cerebrale di un gruppo di volontari e dimostrato che la nostra attenzione è crollata di un terzo nel giro di pochi anni (era di 12 secondi nel 2000, prima dell’arrivo degli smartphone)». 

Un’attenzione che è cambiata non solo in quantità, ma soprattutto in qualità, come comprovano innumerevoli studi. Nel 2019, per esempio, sul «World Psychiatry» (la rivista ufficiale della World Psychiatric Association, WPA, che rappresenta le società di psichiatria di diversi Paesi) è apparsa una ricerca realizzata da un’équipe universitaria internazionale, secondo la quale un uso intenso di internet può influire negativamente sulla capacità di concentrazione, causando difficoltà sia nell’attenzione che nella memoria. L’eccessiva stimolazione e la continua distrazione offerte dal web sembrano, infatti, alterare il modo in cui il nostro cervello elabora le informazioni. E questo può manifestarsi, appunto, con una minore capacità di focalizzare l’attenzione su un compito specifico, una maggiore difficoltà a ricordare dettagli e una tendenza alla distrazione. Colpevoli principali, a dar retta alla vox populi, sarebbero soprattutto i social media, progettati per tenere incollati gli utenti agli schermi il più a lungo possibile, visto che il loro modello di business si basa su introiti pubblicitari crescenti (in soldoni: più stiamo sui social, più pubblicità vediamo e più introiti pubblicitari pioveranno nelle tasche dei proprietari del social in questione), utilizzando allo scopo varie strategie che stimolano quei meccanismi cerebrali di appagamento che ci fanno sentire meglio. Almeno in apparenza. 

A scavare un po’, però, si scopre che, in realtà, il problema è antecedente rispetto all’avvento dei social e starebbe nella modalità stessa di lettura dei testi online. È ancora Lisa Iotti a spiegarlo, sottolineando «quanto sia ingenuo credere che l’atto di leggere – e quindi comprendere e assimilare – sia neutro, indipendente dalla superficie su cui lo facciamo». Mentre la lettura di una pagina stampata avviene sostanzialmente in modo lineare, da sinistra a destra, riga dopo riga, dall’inizio alla fine, informa Iotti, di una pagina web non leggiamo tutto il contenuto, ma solo «le prime righe in alto, da sinistra a destra, poi una parte centrale, e infine andiamo alle ultime frasi», senza di fatto soffermarci il tempo necessario per comprendere a fondo il testo, facendo di continuo skimming (scorrendo il testo superficialmente), skipping, (saltando parti di testo), browsing (navigando di sito in sito, catturati dai vari link presenti), scrolling (facendo scorrere velocemente il testo online). Se registrassimo i movimenti dei nostri occhi mentre leggiamo online e mentre lo facciamo su carta, quindi, nel primo caso vedremmo una sorta di scheggia impazzita che salta disordinatamente da una parte all’altra, nel secondo un movimento ordinato e consequenziale. Insomma, sullo schermo dei nostri device «tutto si muove, tutto è dinamico, tutto ci disturba». Peccato, però, che «i processi cognitivi del nostro cervello abbiano bisogno di tempo e se non gli diamo questo tempo, il cervello non riesce a capire nulla» ricorda Iotti. 

Tra pensiero lento e pensiero veloce

Il web, dunque, sta trasformando il nostro modo di pensare, influenzando in maniera significativa sia il pensiero veloce che il pensiero lento, con ripercussioni sulla nostra mente addirittura a livello fisiologico, come sostengono i neuroscienziati. Per comprendere a fondo questa trasformazione, dobbiamo andare a recuperare la distinzione proposta da Daniel Kahneman (premio Nobel per l’Economia 2002, per aver integrato i risultati della ricerca psicologica nella scienza economica) nel suo libro Thinking, Fast and Slow (in Italia, Pensieri lenti e veloci, Mondadori). Il cervello umano, sottolinea in estrema sintesi lo psicologo, è caratterizzato da una doppia modalità di funzionamento: il pensiero veloce (Sistema 1), che è automatico, intuitivo ed emotivo, ed è regolato per lo più dalla corteccia prefrontale; e il pensiero lento (Sistema 2) che è invece deliberato, logico, riflessivo ed è regolato in prevalenza dalla corteccia parietale posteriore. Il web, con la sua sovrabbondanza di stimoli e informazioni, favorirebbe le risposte rapide e istintive, piuttosto che le analisi profonde, stimolando quindi costantemente il pensiero veloce, portando a decisioni impulsive basate sulle emozioni, a una maggiore esposizione all’errore di valutazione e a una minore tolleranza per la complessità e l’ambiguità. Il pensiero lento, al contrario, che richiede attenzione prolungata, capacità di analisi, valutazione critica delle informazioni e autocontrollo, sarebbe disincentivato dal multitasking digitale (l’uso frequente di più dispositivi, le continue interruzioni e i continui rimandi ipertestuali, la lettura frammentaria online…), che, riducendo la concentrazione e l’elaborazione profonda dei contenuti, di fatto diminuisce il tempo dedicato alla riflessione critica. 

Non solo. Pare che, giorno dopo giorno, queste nostre nuove abitudini digitali stiano impattando, oltre che sulla plasticità del nostro cervello, anche sulla sua forma e sulle sue dimensioni. Lo affermano alcuni scienziati della Heidelberg University, in Germania, che qualche anno fa, sulla rivista «Addictive Behaviors», hanno pubblicato il primo studio che fornirebbe una prova del legame tra utilizzo eccessivo dello smartphone e riduzione del volume della materia grigia in alcune aree importanti del cervello, in parallelo con una minore attività cerebrale. Questa tipologia di studi, a dire il vero, è ancora in una fase iniziale (a differenza di quanto è avvenuto per i videogiochi, per i quali tutto ciò è ampiamente assodato), ma già le prime indicazioni sono decisamente allarmanti.

Quanto fin qui rilevato vale, ovviamente, anche per i social media. Solo che vale doppio. Le piattaforme sociali (Facebook, Instagram, X, Whatsapp, YouTube, TikTok…), infatti, aggiungono la ciliegina sulla torta: la dipendenza. I social media sono costruiti su un meccanismo di gratificazione istantanea (quando, per esempio, riceviamo dei like o dei commenti ai nostri post) che, favorendo il rilascio di dopamina (l’ormone del benessere), crea, in aggiunta al resto, una vera e propria trappola psicologica paragonabile alla dipendenza da droghe. A questo si aggiunge la stessa architettura delle piattaforme, progettata per mantenere connesso l’utente il più a lungo possibile. Inoltre, soprattutto tra le persone più giovani o fragili, i social favoriscono l’insorgenza di problemi di autostima, dovuti al continuo confronto con corpi, lavori, famiglie, stili di vita idealizzati (e quasi mai reali) che aumentano a dismisura senso di inadeguatezza e/o desiderio ossessivo di approvazione a livello sociale. Infine, ultimo ma non ultimo, pare favoriscano una fuga dalla realtà, proponendosi come luoghi migliori rispetto alla vita reale. L’insieme di questi comportamenti, a lungo andare, porta all’aumento di ansia, depressione e, soprattutto, solitudine, perché le «amicizie» sui social si limitano a «mimare» (e male) quelle reali. 

Strategie di sopravvivenza

Resta il fatto che web e social media non sono l’origine di ogni male. Accusarli di essere gli unici responsabili di quanto fin qui evidenziato sarebbe come dare la colpa al frigorifero del nostro sovrappeso. Certo, loro, Sirene del nostro tempo, ci attraggono, ma sta a noi trovare la fune resistente che consenta, come Ulisse, di legarci all’albero maestro della nostra vita, per non restare sopraffatti dal loro canto ammaliatore ma distruttivo. 

Ecco allora qualche utile consiglio per cominciare a prendere un po’ le distanze. Innanzitutto, disattiviamo le notifiche del nostro smartphone. Tutte. Sono, infatti, una pericolosa distrazione, spingendoci a sbirciare di continuo il nostro schermo, per scoprire che cosa di nuovo sia arrivato, proprio a causa di quel rilascio di dopamina di cui prima dicevamo. Evitiamo di utilizzare i device la sera, prima di dormire: la luce blu degli schermi, infatti, manda al nostro cervello l’errato messaggio che è ora di agire, piuttosto che di riposare, disturbando in tal modo la qualità del sonno. Poi, diamoci dei tempi: cerchiamo di ritagliarci solo alcune fasce temporali nell’arco della giornata per poter controllare i social, e cerchiamo di rispettarle. E se, come spesso accade, ci accorgiamo che, saltando da un reel a una story a un post, perdiamo la cognizione del tempo, facciamoci aiutare dalle App nate proprio per bloccare il telefono (o mandarci un segnale), trascorso il tempo che ci eravamo prefissati. Qualche esempio? Benessere digitale, StayFree e Digital Detox, oppure, in ambiente iOS, possiamo utilizzare direttamente le funzionalità del cellulare per monitorare il tempo online. Qualche esperto suggerisce anche di non restare costantemente connessi alle App dei social (o addirittura di disinstallarle), per tutelarci, una volta di più, dalla tentazione di aprirli di continuo. La manciata di minuti necessaria a ridigitare le nostre user e password può essere sufficiente a «salvarci»: ricordiamoci che per riprendere la concentrazione dopo un’interruzione, anche brevissima, sono necessari in media 23 minuti.

Altra modalità, decisamente più impegnativa ma anche più intrinsecamente ricca di valore, per limitare le disastrose conseguenze dell’indigestione «da byte», è la mindfulness o meditazione profonda: dedicare almeno 20 minuti ogni giorno a una pratica meditativa, infatti, aiuta a focalizzare il cervello che, giorno dopo giorno, risponderà in maniera egregia all’allenamento. Infine, leggiamo leggiamo e leggiamo il più possibile su carta (o, al limite, su ebook reader). La neuroscienziata cognitivista Maryanne Wolf, autrice del libro Lettore, vieni a casa (Vita e Pensiero) lo spiega molto bene: ci sono evidenti correlazioni tra il modo in cui leggiamo e quello in cui pensiamo, tra la qualità della nostra attenzione e quella dei nostri pensieri, tra la lettura profonda e la formazione del pensiero critico, dell’empatia, della creatività e della riflessione. Proviamo, allora, a cominciare ogni nuova giornata leggendo qualche pagina di un saggio impegnativo, che alleni costantemente il nostro pensiero profondo e la capacità di focalizzare l’attenzione. E chiudiamo ogni serata con un buon romanzo, che garantisce sempre una lettura ben focalizzata ma al contempo rilassa la mente, in vista della notte. 

Infine, il suggerimento più importante: ricordiamoci che siamo adulti. Non possiamo lamentarci che i nostri ragazzi sono iperconnessi, se noi per primi non riusciamo a darci dei limiti. Quindi fermiamoci, finché siamo in tempo, almeno per loro, se non vogliamo farlo per noi stessi.M

Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»! 

Data di aggiornamento: 08 Settembre 2025

Articoli Correlati

Articoli Consigliati

Poveri col lavoro

04 Settembre 2025 | di

Le donne lo sanno prima

03 Settembre 2025 | di
Lascia un commento che verrà pubblicato