Intervista a Reinhold Messner: «Non esiste grande impresa senza memoria»
Messner, ha sempre scalato montagne e, insieme, raccolto oggetti che le raccontassero?
Avevo 13-14 anni quando salii la mia prima vetta. Fui costretto a raccogliere qualcosa. Ricordo che portai a casa i chiodi che avevo usato. Li rivendetti. Quella piccola somma mi permise di partire e di fare, così, altre scalate. Da lì cominciò tutto.
Ha un oggetto, un paesaggio, una memoria che le sta più a cuore?
Le memorie le ho tutte dentro, ci vorrebbe uno spazio infinito per contenerle e non basterebbe. Gli oggetti esposti sono tutti importanti, ognuno ha un significato. L’abbigliamento e il casco usati da Alexander Huber per risalire la Nord della Cima Grande di Lavaredo, il sacco da bivacco datomi da Walter Bonatti, la corda di Hermann Buhl, il primo a salire da solo un Ottomila, il Nanga Parbat, o gli scarponi usati nella tragica spedizione tedesca sulla stessa montagna, nel 1937. Ma, tra tutti questi reperti, sono più legato al martello dell’alpinista Paul Preuss. Da lì ebbe inizio il sogno di un grande museo sulla montagna e sull’uomo che la vive.
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