Ci sono piccoli grandi uomini che sopravvivono ai buchi neri della storia. Ci sono libri capaci di far rivivere quegli uomini, con l’intensità di un flashback. Come se le loro vite fossero accadute ieri. Uno di questi libri è Alla fine di ogni cosa (Ed.Frassinelli) di Mauro Garofalo, romanzo d'esordio dell'autore.
Scrittore, giornalista, fotografo. Questo ritratto inedito del romanziere statunitense riflette anche un London privato, ancorché testimone del suo tempo.
Cento anni fa, nel novembre del 1916, scompariva Jack London: uno dei più originali, controversi e, per alcuni versi, visionari scrittori di tutti i tempi.
Dopo essersi imbarcato su un traghetto postale che da Napoli faceva rotta verso Palermo, il giovane Ettore Majorana fece perdere le proprie tracce. Sulla sua sparizione si sono fatte molte congetture: suicidio, fuga in un altro paese, cambio d’identità, un volontario esilio dal mondo, magari in un remoto convento. A dominare su tutte le ipotesi, la pista sudamericana.
Dolore. Risentimento. Ricerca di una compensazione… Lunga e impervia è la strada che dal lutto si snoda verso la luce e la rinascita. Un susseguirsi di tappe più o meno previste e obbligate che una bambina di 4 anni non dovrebbe neppure immaginare. La vita, però, è un volo imprevedibile. Lo impara a sue spese Teresa, la protagonista di questo romanzo, che – orfana di padre – si trova troppo presto a fronteggiare la paura dell’abbandono, nonché la perdita di speranze e punti di riferimento.
Poche parole, scritte all’indomani della strage, rivolte ai terroristi: «Non avrete il mio odio». Un messaggio struggente, postato su Facebook dopo l’attentato al teatro Bataclan di Parigi. Era il 13 novembre 2015. Antoine Leiris, autore del volume, è il compagno di Hélène Muyal, una delle 89 vittime e mamma del loro piccolo Melvin, di 17 mesi.
«Ciò che lentamente prendeva forma dentro di me nei lunghi mesi passati si è fatto ora certezza folgorante: il dolore colpisce, intercetta una vita facendole comunque del male, prende una traiettoria e prosegue con inerzia verso un esito sconosciuto, mai uguale, mai prevedibile. Bisogna afferrarlo un dolore e bisogna consegnarsi a lui; parlargli e ascoltarlo, bisogna agirlo e patirlo. E poi, se possibile, provare a decidere cosa farne. Sento che per me la cosa più bella e naturale è riuscire a farne dono agli altri».