Da una quindicina d’anni è immobilizzata sul divano di casa e comunica muovendo gli occhi su una tastiera collegata a un computer. Eppure, l’amore per la vita non l’ha abbandonata e oggi Laura Tangorra è autrice di racconti.
Se è vero che la malattia ci fa sentire soli, oltre che fragili, in quel frangente siamo «soli con te», con Dio. È l’esperienza di santa Chiara, e di tante persone toccate dalla sofferenza.
La squadra di calcio a cinque che lo scorso febbraio è volata in Giappone al primo Campionato mondiale per malati psichici è protagonista di «Crazy for football», un docufilm (in uscita nelle sale a febbraio) sul valore dello sport come medicina.
Il regista inglese Ken Loach racconta la storia di Daniel, uomo malato, senza lavoro né sussidio che assiste Katie, povera e affamata, madre di due bimbi, e come lui vittima delle pastoie burocratiche.
La benedizione e la fatica morale dell’amicizia. Anche il cinema sa impartire miracolosi ordini ai nostri sogni inconfessati, alle menti ferite, al cuore congelato dalla paura della fine.
Identificare la disabilità con la malattia è, in parte, una falsità scientifica. Si continua infatti a inserirla in una visione ospedalizzante e limitata, perpetuando una visione della realtà a compartimenti stagni.