«Una volta è Hitler; un’altra è Ivan il Terribile, per quanto mi riguarda; in un secolo è l’Inquisizione e in un altro sono le guerre, o la peste e i terremoti e la carestia. Quel che conta in definitiva è come si porta, sopporta, e risolve il dolore, e se si riesce a mantenere intatto un pezzetto della propria anima»: è un brano dal Diario di Etty Hillesum, poco prima di partire volontaria per il campo olandese di Westerbork, da dove gli ebrei venivano poi smistati tra i lager della Polonia.
Taranto è uno specchio dell’Italia: c’è la solitudine degli operai, la criminalità, la distruzione di un paesaggio, la povertà e la ricchezza, l’incertezza, la paura, l’illusione di un futuro diverso. Ma c’è anche la bellezza...
Diciamo subito che questo è un libro di storie. Scritte bene (lo garantisce anche Carlo Lucarelli nella prefazione, e lui se ne intende di storie). Vere. Magari abitate da tanti nomi che qualcosa diranno o richiameranno anche al più sprovveduto tra noi, ma per la maggior parte raccontano di uomini e donne, e anche ragazzini, senza nome.
Le città non diventano comunità se si pensa solo a bed & breakfast e alberghi, o se gli affitti sono impagabili. Le città sono fatte dai loro abitanti.