Alzheimer: attenzione alle false speranze
In Italia più di un milione di persone soffre di demenza. Di esse, 600 mila (ma i dati derivano da stime poco aggiornate) hanno ricevuto una diagnosi di malattia di Alzheimer. A questi numeri vanno aggiunti poi quelli dei familiari, la cui vita è spesso stravolta dalla malattia dei loro cari, sia dal punto di vista pratico, per la necessità di accudirli, sia da quello psicologico, per il dolore provocato dal fatto di non essere più riconosciuti o di non riconoscere più i comportamenti dell’ammalato come compatibili con l’immagine che avevano di lei o di lui. Ci passano in tanti, ed è anche a loro che bisogna pensare quando si promette una cura che, a oggi, non c’è. Al sollievo immediato suscitato da una falsa speranza, infatti, segue una delusione ancora più cocente, aggravata da frustrazione e rabbia per averci creduto.
Più danni che benefici
A che cosa mi riferisco? Ai nuovi farmaci che negli ultimi anni sono stati presentati come «rivoluzionari», perché agirebbero sul meccanismo d’azione alla base della malattia di Alzheimer. Peccato che questo stesso presunto meccanismo d’azione sia da molto tempo messo in discussione da parte della comunità scientifica e che i risultati degli studi che hanno portato all’approvazione di anticorpi monoclonali che lo prendono di mira sono altrettanto controversi. In ogni caso, nessuno parla di cura, né di fermare il declino cognitivo, ma solo di rallentarlo in persone che sono nelle fasi preliminari della malattia, quando questa ancora non è conclamata, né destinata sicuramente a portare alla demenza. Solo una minore velocità nel peggioramento, di un’entità misurabile con i test ma impercettibile al paziente e a chi gli sta vicino.
L’altra faccia della medaglia è che questi medicinali provocano in un’alta percentuale di casi un edema, cioè una sorta di rigonfiamento del cervello che talvolta esita in un’emorragia cerebrale. Per questo, soppesando gli alti rischi e i minimi benefici, la commissione di esperti cui la Food and Drug Administration si era rivolta per avere un parere sull’autorizzazione del capostipite di questa serie di medicinali (aducanumab) si era espressa negativamente. E quando l’agenzia, su pressione delle associazioni delle famiglie, non solo dell’industria, l’ha approvato comunque, molti di loro si sono dimessi. Oggi questo primo prodotto è stato ritirato e sostituito da lecanemab, della stessa azienda, recentemente autorizzato, oltre che negli Stati Uniti, anche nel Regno Unito, dove però non ne è stato garantito il rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale britannico (NHS).
E nell’Unione Europea? Mentre scrivo, è ancora in fase di valutazione un altro farmaco dello stesso tipo (donanemab), prodotto da un’altra azienda, ma l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha già negato il via libera al prodotto approvato da quelle statunitense e britannica. È importante capire le ragioni di questa scelta, che è a tutela, non a scapito, dei cittadini.
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