Big Tech, scalata al potere
«È opportuno che gli scandali avvengano». Così è giunta fino a noi una massima evangelica che racchiude un significato profondo: «eventi scandalosi» possono rivelarsi persino utili se contribuiscono a determinare una giusta reazione. Il discorso pare calzare a pennello su Elon Musk, uno degli uomini più ricchi del mondo, tra i «grandi feudatari» delle tecnologie planetarie. Tra le molte cose di cui è proprietario c’è anche X (già Twitter), uno dei social network più influenti, su cui Elon conta ben 195 milioni di seguaci. Per capire bene lo «scandalo» di cui intendiamo parlare, ci vuole una premessa. Finora i proprietari dei Social (Facebook, Instagram, YouTube, TikTok) si erano sempre attenuti a una linea: negare di essere editori responsabili dei contenuti degli utenti delle loro piattaforme, svolgendo solo un blando controllo su di essi. Musk ha ribaltato questo schema e, forte del seguito di cui gode, ha usato X per lanciare messaggi, diffondere sue interviste, prendere posizione. Sul palcoscenico della vita pubblica mondiale non recita ora solo la parte del grande imprenditore ma pure quella dell’attore politico.
La vicenda più emblematica ha coinvolto la Gran Bretagna. Nella cittadina di Southport, un giovane di origine ruandese, nato in Inghilterra, ha accoltellato a morte tre bambine. Un orribile fatto di sangue che ha avuto enorme risonanza in Rete, dove gruppi di estrema destra hanno diffuso sui social la falsa notizia che si trattasse di un attentatore islamico. Sono seguite manifestazioni e violenze, arresti di centinaia di persone, una forte successiva mobilitazione antirazzista. Musk ha commentato gli eventi affermando che nel Regno Unito «la guerra civile è inevitabile», perché sono venute a contatto «culture diverse non assimilabili». Il primo ministro laburista Keir Starmer, in carica da inizio luglio, ha replicato che «chiunque stia facendo montare la violenza online sarà chiamato a risponderne davanti alla legge». Uno scontro durissimo tra due poteri: da una parte quello del denaro e della Rete, dall’altra chi era stato appena eletto democraticamente.
Per cogliere la portata della questione è utile spostare l’attenzione su Peter Thiel, poco noto in Italia, ma punto di riferimento di questo gruppo di miliardari «anarco capitalisti». Teorizza l’idea di un mondo dove solo il più forte meriti di sopravvivere e non esita a dichiarare di non credere più che «la democrazia sia compatibile con la libertà» (d’impresa), ritenuta più importante. Sono questi isolati «libertari» di estrema destra che vogliono le mani libere dagli Stati l’unico problema? Non è così semplice. Ai primi di agosto un giudice federale di Washington ha condannato Google perché «è un monopolista che ha agito come tale per mantenere il suo ruolo», accogliendo così una causa antitrust promossa dal ministero della Giustizia degli Stati Uniti. Vedremo quali saranno gli sviluppi, ma è la prima volta che si mette nero su bianco che le «Big Tech» hanno accumulato troppo potere. La battaglia è appena cominciata ed è una buona notizia che una situazione scandalosa sia stata finalmente dichiarata illegale in un’aula di tribunale.
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