«Caro John Lennon»
Ed eccoci qua. Siamo giunti al periodo dell’anno più bello, il Natale. È in questi giorni colmi di sogni e speranza che ciascuno di noi è alle prese con la propria fervida immaginazione. A Natale ci auguriamo che l’avvenire nostro e delle persone a noi care sia più accogliente, pieno di prosperità e tante belle novità. Insomma, che il mondo sia un posto per tutte e per tutti, vissuto all’insegna della pace.
Quando parliamo di questi temi, però, non possiamo non fare riferimento a te, caro John Lennon, a te che sei portavoce in assoluto di «immaginazione». Non sai quanti brividi mi fai venire ogni volta che ascolto il tuo più grande successo, Imagine, a mio parere la canzone più bella del pianeta, ma che dico pianeta, dell’universo! Mi sono chiesto varie volte come mai fosse la più cantata. Il perché è molto semplice: il genere umano ha il bisogno innato di immaginare. Ciascuno di noi può pensare a cose belle o a cose brutte. Insomma, l’immaginazione è parte integrante dell’umanità e chi non sa immaginare non riesce a vivere.
Giorni fa, durante una bella e sentita riflessione con i miei colleghi e le mie colleghe del Centro Documentazione Handicap di Bologna, è emerso questo pensiero: ma una persona con disabilità è davvero libera di immaginare? Oppure vive in contesti o ha delle relazioni (genitori, educatori, insegnanti, società, cultura, politica, ecc…) che frenano l’opportunità di andare oltre la realtà della condizione in cui si trova? Dirai tu, John: bella domanda! Tale questione apre a svariati orizzonti.
Ad esempio, quando canti: «Immagina che non ci sia nessun paradiso / Se ci provi è facile / Nessun inferno sotto di noi / Sopra di noi solo il cielo / Immagina tutta la gente che vive solo per l’oggi [...]» mi viene subito da pensare alla figura dell’educatore/educatrice. Immagino quelli che potrebbero essere i suoi dubbi, le sue riflessioni e la sua «umana tendenza» a chiedersi se una persona con disabilità possa avere una vera e profonda consapevolezza della propria identità, delle sue reali possibilità. Un educatore/educatrice vorrebbe che una persona con disabilità si rendesse conto dei suoi limiti, che non si costruisse un mondo fantastico per rifugiarvisi, che non usasse la sua capacità di immaginare per abbandonare la realtà e questo potrebbe essere percepito come un limite alla sua capacità di crearsi una immagine diversa di se stesso/a.
L’immaginazione, infatti, non serve solo per fuggire, ma anche per cercare di trovare un posto, il proprio posto, nella società. Le persone con disabilità possono, in questo modo, compiere una scelta «comunitaria» tra il rassegnarsi a vivere nello spazio che la società ha loro imposto oppure l’immaginarsi spazi e luoghi diversi, lottando insieme affinché i sogni diventino realtà e la cultura dominante possa cambiare. Perciò: «Si potrebbe dire che io sia un sognatore / Ma io non sono l’unico / Spero che un giorno vi unirete a noi / Ed il mondo sarà come un’unica entità». Che dire? Se sono solo io a sognare, è un sogno. Se siamo in due a sognare allora è un bi-sogno! E, in fondo, anche il Natale è un bisogno, un bisogno di pace e serenità. Con questo, caro John, non mi resta che augurare a tutte e a tutti un buon Natale! Scrivete a claudio@accaparlante oppure sulle mie pagine Facebook e Instagram.
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