«Cento cuori»

«Cento cuori» è il titolo del film dedicato a madre Clelia Merloni, fondatrice delle Apostole del Sacro Cuore di Gesù. Abbiamo incontrato il regista, Paolo Damosso.
16 Gennaio 2025 | di

È saltato sulla sedia Paolo Damosso quando ha iniziato a leggere l’ultima enciclica di papa Francesco, Dilexit nos («Ci ha amati») – Sull’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo, pubblicata il 24 ottobre 2024. «Questa Enciclica intreccia meravigliosamente il percorso di madre Clelia. Spero che in una dimensione spirituale lei riceva questo messaggio sul Sacro Cuore di Gesù, al quale si è affidata per tutta la vita». La beata madre Clelia Merloni è la fondatrice dell’Istituto delle Apostole del Sacro Cuore di Gesù. Il suo carisma ha origine nel Cuore trafitto di Cristo sulla Croce, emblema dell’amore di Dio per l’umanità. Paolo Damosso, autore, sceneggiatore e regista, ha tradotto questo carisma nel film Cento Cuori, prodotto dalla società Fogo Multimedia, di cui è co-fondatore con Antonella Taggiasco e Antonio Venere. Dopo il passaggio televisivo su TV2000 e su diverse emittenti internazionali, da tre mesi il film è visibile su YouTube, oltre che in italiano, anche in spagnolo e portoghese. E presto arriverà la versione inglese. «I numeri delle visualizzazioni sono pazzeschi – dice Damosso –. Cinquantamila per il film in italiano non è poco. Ma con le versioni estere arriviamo a circa 630 mila. Significa che abbiamo vinto la sfida. Questo film, di produzione italiana e recitato da attori italiani, si prefiggeva di parlare al mondo, quindi a sensibilità diverse. È stato possibile perché la congregazione delle Apostole ha una vocazione profondamente internazionale. E soprattutto perché la lingua di madre Clelia è universale, nei suoi valori e nel suo esempio».

Msa. Sembra quasi che papa Francesco, prima di scrivere questa sua ultima Enciclica, si sia ispirato alla vita di madre Clelia. Siamo di fronte a «un’enciclica cleliana»?

Damosso. Nell’enciclica madre Clelia non è citata esplicitamente, però lei c’è, come un fiume carsico che emerge in molti passaggi. Il Santo Padre ci esorta a trovare il cuore, cioè la nostra parte più intima, per valorizzare noi stessi e l’incontro con gli altri. Tutta questa ricerca interiore assume senso se ci identifichiamo con l’amore di Gesù, che è l’Amore con la A maiuscola, quel Sacro Cuore dentro il quale noi realizziamo il nostro amore, che così da minuscolo diventa maiuscolo. Francesco dice: «Nel cuore di Cristo impariamo ad amare». E madre Clelia ha amato tanto. Anche chi le ha fatto del male. Il suo percorso interiore le ha permesso di affrontare tutte le difficoltà, così da vivere al meglio le relazioni con gli altri, anche quando sono state molto faticose. D’altra parte, chi ha condiviso con lei un pezzo di strada, l’ha amata profondamente e continua ad amarla, penso alle sue «figlie» che vivono nei vari angoli di questo mondo complicato. Il titolo dell’enciclica, «Ci ha amati», può essere davvero la sintesi del pensiero e della vita di madre Clelia. Nel cuore di Cristo lei impara ad amare, nel cuore di Cristo impara a superare l’odio e l’egoismo che subisce, nel cuore di Cristo impara a gestire la delusione. Sapeva che con le sole nostre forze non possiamo farcela. Perciò guarda in alto, a un cuore più grande, che contiene il suo. L’enciclica, poi, parla di missionarietà. Questo amore, che si identifica nel sacro cuore di Gesù, da cui madre Clelia trae forza, la spinge a una vita missionaria. Nel 1900 le sue suore partono per il Brasile; nel 1902 per gli Stati Uniti, a seguito della grande migrazione tra Otto e Novecento. Tutti noi siamo chiamati a essere missionari, non necessariamente come consacrati, ma come medici, bancari, giornalisti, insegnanti, cioè nella nostra quotidianità. 

Torniamo al film. Perché la vita di una religiosa incrocia l’interesse anche di chi non è credente?

Questo film parla al cuore di ogni uomo, perché comunica dei valori condivisi. «Perdono, umiltà, verità», cardini della vita di madre Clelia, sono tre «bombe atomiche benefiche». Tutti siamo chiamati a perdonare al di là di quello in cui crediamo, tutti siamo chiamati a essere umili in un mondo che ci stimola alla competizione, tutti siamo chiamati a vivere nella verità. «Non mi aspettavo un film così»: questo è il sunto dei commenti che si leggono su YouTube, e per me è motivo di grande soddisfazione, perché sintetizza quello per il quale mi sono sempre impegnato in questi 32 anni di cammino professionale tra documentari, reportage internazionali e fiction, cioè stupire. In questa realtà caratterizzata dalla rassegnazione, bisogna provare a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Ed ecco che la parola cuore ritorna. Madre Clelia la sentiamo vicina anche perché spesso sembra essere una perdente. Sembra, ma non lo è. A lei la vita ha riservato davvero delle brutte sorprese – il fallimento economico, tre visite apostoliche, l’uscita dalla congregazione –, ma è sempre riuscita a metabolizzare, a trasformare le avversità e la sconfitta momentanea in una grande vittoria eterna. A noi che oggi viviamo giornate di battaglie, di grandi delusioni umane, amicali, relazionali, lavorative, lei dice: «Non mollate». 

Un film a «tinte gialle» che scorre su due piani paralleli: gli ultimi trent’anni (da fine 1800 al 1930) di madre Clelia, ricostruiti dalle fonti; e, costantemente intrecciata, una vicenda che si svolge in un liceo dei nostri giorni, e che riguarda il corpo docenti. 

L’originalità sta nel fatto che entrambe le storie sono interpretate dallo stesso cast. Oltre alle due protagoniste – Silvia Budri che interpreta madre Clelia e Beatrice Fazi che è madre Marcellina –, ci sono Massimo Bonetti, Alessandra Costanza, Remo Girone, Pamela Villoresi. Solo grazie a quella che io chiamo Dio-incidenza, ho potuto mettere insieme attori così talentuosi, che hanno sposato il progetto e organizzato gli altri impegni professionali in modo da essere sempre presenti alle prove. Sono entrati così in sintonia che, tramite il gruppo WhatsApp che hanno creato, che si chiama «Madre Clelia santa», continuano a sentirsi. Non dimentichiamo, poi, che abbiamo girato in piena pandemia, e tutti i giorni dovevamo sottoporci al tampone. Se ci fosse stato un fermo, io non avrei avuto un piano B. Le due storie si intrecciano, si avvicinano sempre di più dal punto di vista valoriale ed emotivo, fino ad arrivare quasi a una compenetrazione. Significa che cambiano le epoche, cambiano i vestiti, le ambientazioni, le abitudini formali, ma l’essere umano continua a porsi le stesse domande, e ad avere le stesse fragilità, gli stessi egoismi, gli stessi slanci. 

A proposito di vestiti e di ambientazioni, possiamo definire questo un «film verità»?

Sì, e io credo che questa sia la sfida del nostro tempo. Nel film, che è un gioco di finzione, c’è molta verità. Quella degli abiti religiosi, cuciti dalle suore, sulla base di foto e ricordi personali. Quella degli oggetti e dei luoghi. La stanza di madre Clelia è proprio la sua. E quella delle Apostole, molte delle quali hanno vestito i panni delle loro consorelle del passato, a partire dalla madre generale, madre Miriam Cunha Sobrinha, che dà il benvenuto a madre Clelia, quando questa torna a casa. Se penso al cast completo, lo penso con le suore, e come una famiglia.

Però il titolo non parla di un cuore, bensì di cento.

Madre Clelia soleva firmare così: «Ti benedico con cento cuori». Intendeva il suo in comunione con le sue figlie, con le sue consorelle, con il mondo. E questo vale ancora. Anzi, oggi possiamo parlare di cento milioni di cuori. Penso che papa Francesco amerebbe molto questa firma di madre Clelia. Il sogno è di vedere questo film assieme a lui. Per questo uniamo i nostri cuori ai cento cuori!».

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Data di aggiornamento: 16 Gennaio 2025
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