C’era una volta la scuola
Febbraio. Il primo semestre è finito ed è tempo di bilanci per gli «addetti all’istruzione». La maestra Michela ha compilato al computer tutte le pagelle dei suoi alunni, poi le ha caricate sul portale web della scuola, perché i genitori possano scaricarle. Infine, ha ripassato le slide per la lezione del giorno dopo e ha dato un’occhiata al registro elettronico. Normale routine nella scuola primaria 2.0. Ma settant’anni fa come si faceva senza internet? E quali strumenti usavano gli allievi per imparare? Chi non era ancora nato fatica a immaginarselo, ma chi quegli anni li ha vissuti li ricorda con tanta nostalgia. «Non è bello esser bambini: è bello da anziani pensare a quando eravamo bambini» scrive Cesare Pavese ne Il mestiere di vivere. Di questo avviso è anche Egidio Guidolin, antiquario e perito stimatore di Rosà (VI) che alla «scuola di una volta» ha dedicato oltre 50 anni di vita. «Tutto ha origine dalla mia passione per il collezionismo e l’antiquariato. Una passione che nutro fin da bambino – spiega –. Ricordo ancora il mio primo oggetto da collezione: una piccola cuccuma (attrezzo per fare il caffè) che trovai nella casa di una signora del mio paese. Avevo 10 anni quando la convinsi a regalarmela. Ancora oggi conservo quel pezzo sul caminetto, e guai a chi me lo tocca!».
Da bravo antiquario, Guidolin ha accumulato negli anni moltissimi mobili, suppellettili, stoviglie, quadri, valigie, vasi. «Oggetti… ricordi… pezzetti di felicità» per dirla con le parole del collezionista, che conserva i suoi «tesori», divisi per tema e tipologia, in un capannone nei dintorni di Bassano del Grappa (VI). Tra questi, però, c’è una categoria in particolare che gli ha letteralmente rubato il cuore, per non parlare del tempo e dei risparmi. Libri, quaderni, cannucce, pennini, boccette di inchiostro di ogni tipo, mappamondi, carte geografiche, abbecedari, foto d’epoca, pagelle, penne, matite. E ancora: cattedre, banchi, lavagne con tanto di gessetti e cancellino, pallottolieri, cartelle… Sono solo un assaggio delle migliaia di oggetti scolastici raccolti da Guidolin su e giù per il Nordest, cercando nelle case e nei mercatini, ma anche rovistando tra i rifiuti e negli ecocentri. «Non ho mai contato i miei pezzi, ma so che con loro potrei aprire un museo completo di tutto!».
Per ora l’antiquario si limita a portarli in giro per l’Italia con una mostra itinerante («Leggere, scrivere, far di conto… A scuola dopo l’Unità. Un secolo di storia nei libri e oggetti d’epoca») che, partendo dalla minuziosa ricostruzione di intere aule scolastiche d’antan, funziona un po’ come una macchina del tempo a prova di lacrima: «Ho visto tanti visitatori commuoversi. Quello della scuola elementare è un tema che emoziona e dona gioia. Perché l’infanzia è l’età più bella, l’età della spensieratezza che, attraverso questi oggetti, io cerco di rievocare nella mente di adulti e anziani». Dopo aver fatto tappa in molte città, soprattutto del Nordest, l’anno prossimo la mostra dovrebbe sbarcare a Polverara (PD). In attesa intanto che metta radici… «Il mio sogno è creare e gestire un museo permanente – confessa Guidolin –. Mi manca solo la location. Se c’è qualche volontario disposto a fornirmela, si faccia avanti! Unica condizione: poter essere io a gestire l’attività: sono troppo geloso dei miei “tesori” per affidarli!».
Quaderni, testimoni di storia
«Loria, 23 maggio. Ti piace la polenta gialla che fuma nel mammino? Essa è il cibo più buono di tutti gli altri. La polenta la raccolgono i contadini. Chi non mangia la polenta sono delicati». Chissà se la maestra avrà perdonato al giovane autore di questa composizione i due strafalcioni grammaticali. Al di là dei refusi e del senso letterale, però, questa pagina di quaderno racconta un’Italia – quella del secondo dopoguerra – povera e affamata, ma non per questo affranta. Un’Italia capace di apprezzare anche il poco a disposizione e di guardare al futuro con ottimismo. Come questo foglio, molti altri pezzi della collezione di Egidio Guidolin sono, in realtà, testimoni di vita e specchi di un’epoca.
Pensiamo al quaderno in cui Margherita G. Sarfatti racconta la nascita di Benito Mussolini rifacendosi alla Natività. «C’era una volta un paesino piccolo piccolo, in mezzo a una campagna grande grande, che la fatica dell’uomo rendeva verde di erba e bionda di grano. In mezzo al paesino stava un casone (…). In quella casa del lavoro e dello studio, una domenica di luglio al papà fabbro e alla mamma-maestra, Dio mandò in dono il primo bambino. Era mezzogiorno e tutte le campane dicevano che andava bene. E le erbe dei prati sussurravano al vento: “C’è una novità”…». Come se non bastasse già il testo, a rafforzare l’idea dell’evento straordinario è pure l’illustrazione: presepe a parte, non è certo molto facile vedere una stella cometa che brilla sopra una casa di campagna! Figlio di una maestra e maestro lui stesso, Mussolini sapeva bene che, per inculcare nel popolo italiano fiducia e rispetto nel duce, avrebbe dovuto partire dai più piccoli e, quindi, dalle scuole.
Non a caso nella collezione di Guidolin i quaderni dalle copertine colorate in stile fascista abbondano. Spesso l’antiquario vi abbina oggetti e materiali d’epoca, come lance, sciabole e scudi abissini originali, gli stessi che compaiono nei quaderni anni ’30. Il fatto che quegli strumenti scolastici fossero obbligatori, e quindi tanto diffusi, li rendeva, agli occhi del regime, dei perfetti strumenti di propaganda. Vedere per credere il quaderno di cronaca fascista di Franco Fornaro, alunno di IVª B. «Ottobre. Verso le ore 16 squillano le campane sulle torri e urlano le sirene. Si capisce subito che cosa significhi. Io pronto vesto la divisa, corro alla scuola e coi Balilla siamo andati in Piazza dei Signori. Che folla di gente! Le Organizzazioni fasciste son tutte là a udir la voce del Duce. Venti milioni di popolo in piedi».
Tra le righe (larghe in prima elementare, strette in quinta) i bambini si perdono in racconti, disegni, tabelline e, di tanto in tanto, aprono il loro cuore. «Penso a quella bambina che affidò alle pagine del suo quaderno un commovente appello al padre. Era ospite di un collegio e pregava il suo papà di andarla a trovare» ricorda Egidio Guidolin, la cui collezione di quaderni spazia dalla metà dell’800 al secondo dopoguerra. «Fortuna che un tempo c’era l’abitudine, tra le maestre, di conservare i quaderni dei loro alunni più bravi! Ora quelle pagine rappresentano testimonianze storiche, oltre che di vita. Per me sono pura poesia! Ecco perché, quando posso, mi rifugio tra questi scaffali e passo le ore a sfogliare».
Non solo scrittura
«9 giugno. Ieri ho ripreso servizio dopo 68 giorni di assenza per maternità. Mancano alcuni alunni perché occupati a casa nei lavori campestri. Ho richiamato i loro genitori sul dovere e sull’obbligo di mandare i figliuoli a scuola fino alla chiusura dell’anno scolastico. Oggi due che erano stati assenti da molti giorni si sono presentati, stanchi assonnati perché dalle due del mattino erano stati nei campi a lavorare». A lamentarsi sul suo registro di classe è la maestra Tecla Guadagnin. Corre l’anno scolastico 1947-’48 e, sebbene la guerra sia finita, restano ancora molte cose da fare per ricostruire l’Italia. Tra queste anche combattere l’analfabetismo. Strumenti validi in questa lotta sono libri, sussidiari, libri delle vacanze, abbecedari, carte murali. Per non parlare degli oggetti dedicati alla scrittura… Nella collezione di Egidio Guidolin c’è solo l’imbarazzo della scelta. Si va dagli astucci in legno girevoli a due piani ai temperini, dai pennini alle boccette e alle ampolle piene di inchiostro, dai calamai di vetro o bachelite alle penne. Ci sono le stilografiche che tanto andavano di moda tra gli anni ’20 e i ’50, ma anche la prima penna a sfera inventata da Laslo Josef Biro (da cui ha preso il nome), che conquistò il mercato a metà del secolo scorso.
Nel suo deposito Egidio Guidolin non si ferma però alla scrittura: tutto ciò che si trovava nelle scuole di una volta lo interessa. Dall’immancabile crocifisso appeso sopra la cattedra agli attrezzi per la ginnastica (spalliere, manubri, tensori, pesi, dischi, cavallina e cerchio) fino ai banchi di scuola. A posti multipli (metà ’800) e a due posti (suggeriti nel 1880 da una Commissione di igiene scolastica), con leggio scorrevole e seduta mobile individuale (dal 1877). In legno di noce e in pioppo. Con vano portapenne e calamaio estraibili (anni ’40-’50), con lavagna richiudibile (anni ’50-’60) e con piano scrittoio ribaltabile (primo ’900).
Non solo rigore e uniformità, dunque. La scuola è da sempre un contenitore di diversità. Ne sa qualcosa Guidolin che, tra i suoi pezzi più curiosi, conta anche diverse tipologie di cartelle. C’è quella in stoffa a forma di busta, quella formata da due assi di legno legate insieme da cinghie di cuoio, fino a quella più strutturata e costosa in pelle, con tanto di fibbia e tracolla. Un’altra chicca? Lo scaldamani: una cassetta di legno risalente alla seconda metà dell’800, dotata di un contenitore in ferro dove venivano poste le braci. Serviva ai maestri e a tutti coloro che dovevano scrivere a mano, perché, a differenza delle nostre scuole riscaldate, un tempo si imparava anche stringendo i denti al freddo. «Non è possibile tenere la penna in mano. I ragazzi piangono dal freddo» racconta nel suo diario il maestro Emilio Alchini di Vallada Agordina, nel bellunese.
Meno male che c’era qualcosa da bere o da mangiare. Come testimoniano le centinaia di tazze che Egidio Guidolin custodisce tutte insieme in una stanza dai molti scaffali. «Alcune vengono da mense scolastiche, in particolare quelle in metallo» sorride orgoglioso l’antiquario, mentre tiene tra le mani uno dei suoi pezzi preferiti. Si tratta di un mappamondo creato dal maestro Antonio Sorarù di Rocca Pietore (BL) disegnando su una palla di legno il profilo di mari e continenti. «Un vero pezzo di artigianato» sentenzia Guidolin, quasi commosso. Per quanto prezioso e unico, comunque, nessun pezzo sarà mai «quello definitivo». Perché l’antiquario di Rosà – che da qualche anno è anche online con il blog lascuoladiunavolta.altervista.org – è sempre a caccia di nuovi tesori. E con buona pace di oro e gioielli, non c’è niente di più prezioso del nostro passato. Perché solo guardandoci indietro possiamo davvero andare avanti.
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