A che gioco giochiamo?

La pace non si costruisce forse imparando a condividere le diversità degli individui, valorizzandone le abilità e arricchendosi così a vicenda?
17 Giugno 2022 | di

Sapete che la parola «pace» è una delle più ricorrenti al mondo? Anzi, probabilmente in questo periodo storico, per via dei conflitti a noi più vicini, forse anche quella più usata! Il concetto di pace è un po’ come quello di inclusione: se ne parla tanto perché concretamente non c’è, è ancora un’utopia. Qualche tempo fa, precisamente nel 2008, scrivevo così in un articolo per uno studio, intitolato Diversabilità e Pace. Ripartire dalle abilità diverse per costruire una cultura di pace: «Anche nelle scuole con il progetto Calamaio capita che un ragazzo intervenga e mi chieda: “Claudio, che cos’è per te la pace?”. Di solito in queste situazioni non mi sento tranquillo, temo di dire le solite banalità. Nonostante queste paure, tuttavia, mi faccio coraggio e tento di rispondere, magari proponendo un nuovo approccio al tema, senza discostarmi troppo da ciò che tratto di solito. Così ribatto con la domanda: “Per voi c’è una relazione tra pace e disabilità?”. A partire dal disorientamento iniziale, scopriamo così che la pace parte dal condividere proprio le cose che individui diversi hanno in comune, per poi valorizzare le abilità e le potenzialità di ciascuno. In questo modo ci arricchiamo delle diversità dell’altro senza perdere la nostra preziosa identità».

È chiaro che con ragazzi più grandi, con cui è possibile instaurare un dialogo effettivo, è più facile ragionare. Eppure, quando osservo i più piccoli, mi chiedo tuttora: «Allora perché i bambini – io stesso quando ero piccino – giocano più volentieri a “fare la guerra”?». Nel gioco – è innegabile – l’idea di scontro e conflitto risulta essere più eccitante: insomma, prevale l’istinto di dominazione e prevaricazione sull’altro, almeno in apparenza. A tal proposito, Claudio Riva, psicoterapeuta e collaboratore della casa editrice La meridiana per la rivista «Marcondiro», nel suo libro Il Calice e la Spada. Come riconoscere e gestire l’aggressività nella prima infanzia (Edizioni La meridiana, 2022) ci dice che: «I primi anni di vita in famiglia, al nido, alla scuola dell’infanzia e nei contesti più vari, sono essenziali per imparare a esprimere, riconoscere e gestire le emozioni e, con esse, l’aggressività [...]. Sono anni […] in cui si lavora sulla dimensione adattiva dell’incontro con gli altri individui: i genitori e i familiari più prossimi, i bambini e le bambine, gli educatori e gli insegnanti, ma anche gli animali, l’ambiente e il sistema in generale. Se i bambini imparano da piccoli a riconoscere e a gestire le emozioni, da adulti faranno meno fatica a vivere relazioni positive con gli altri. Oggi diremmo “a pensare e agire azioni di pace”».

È assolutamente importante, quindi, che i bambini prendano contatto con tutte le emozioni, anche quelle più negative e difficili da gestire, come l’aggressività e la rabbia: fa parte della loro crescita, e gli adulti che li accompagnano in questo percorso hanno un ruolo fondamentale. Se così non fosse, se queste emozioni venissero «evitate», «messe da parte», «represse», i bambini non ne avrebbero consapevolezza e farebbero molta più fatica a riconoscerle, a costruire relazioni autentiche basate sull’incontro, l’accoglienza delle differenze e, dunque, l’inclusione e la pace. Ecco qui che ritorna ancora una volta il connubio tra pace e disabilità! E voi, come giocavate da bambini? Scrivete a claudio@accaparlante.it oppure sulle mie pagine Facebook e Instagram.

 

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Data di aggiornamento: 17 Giugno 2022
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