Chiesa e lavoro: è tempo di agire
È stato monsignor Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari, a inaugurare questa 48sima Settimana sociale, ricordando come essa sia la seconda che si svolge a Cagliari (la prima fu nel 1957 e si occupò di «Aspetti Umani delle trasformazioni agrarie») e augurandosi che essa sarà l’occasione per «meglio conoscere quanto la Sardegna ha di bello e di prezioso da offrire al resto del Paese. La bellezza della sua gente, delle sue tradizioni, della sua fede, ma anche la bellezza di luoghi e di ambienti ancora troppo poco conosciuti».
Al saluto di monsignor Miglio è seguito il videomessaggio che papa Francesco ha voluto inviare agli organizzatori e ai partecipanti a questa Settimana.
«Vi riunite – ha detto il Papa – sotto la protezione e con l'esempio del Beato Giuseppe Toniolo, che nel 1907 promosse le Settimane Sociali in Italia. La sua testimonianza di laico è stata vissuta in tutte le dimensioni della vita: spirituale, familiare, professionale, sociale e politica. Per ispirare i vostri lavori, vi propongo un suo insegnamento. "Noi credenti – scriveva – sentiamo, nel fondo dell'anima, [...] che chi definitivamente recherà a salvamento la società presente non sarà un diplomatico, un dotto, un eroe, bensì un santo, anzi una società di santi" (Dal saggio Indirizzi e concetti sociali). Fate vostra questa “memoria fondativa”: ci si santifica lavorando per gli altri, prolungando così nella storia l'atto creatore di Dio».
«Nelle Scritture – ha poi sottolineato il Pontefice – troviamo molti personaggi definiti dal loro lavoro: il seminatore, il mietitore, i vignaioli, gli amministratori, i pescatori, i pastori, i carpentieri, come San Giuseppe. Dalla Parola di Dio emerge un mondo in cui si lavora. Il Verbo stesso di Dio, Gesù, non si è incarnato in un imperatore o in un re ma “spogliò sé stesso assumendo la condizione di servo” per condividere la nostra vicenda umana, inclusi i sacrifici che il lavoro richiede, al punto da essere noto come falegname o figlio del falegname. Ma c'è di più. Il Signore chiama mentre si lavora, come è avvenuto per i pescatori che Egli invita per farli diventare pescatori di uomini. Anche i talenti ricevuti, possiamo leggerli come doni e competenze da spendere nel mondo del lavoro per costruire comunità, comunità solidali e per aiutare chi non ce la fa».
Il lavoro, ha sottolineato ancora papa Francesco, è essenziale per la dignità umana, anche se non tutti i lavori, purtroppo, tutelano tale dignità: «Ci sono lavori che umiliano la dignità delle persone, quelli che nutrono le guerre con la costruzione di armi, che svendono il valore del corpo con il traffico della prostituzione e che sfruttano i minori. Offendono la dignità del lavoratore anche il lavoro in nero, quello gestito dal caporalato, i lavori che discriminano la donna e non includono chi porta una disabilità. Anche il lavoro precario è una ferita aperta per molti lavoratori, che vivono nel timore di perdere la propria occupazione. (…) Questo è immorale. Questo uccide: uccide la dignità, uccide la salute, uccide la famiglia, uccide la società. Il lavoro in nero e il lavoro precario uccidono. Rimane poi la preoccupazione per i lavori pericolosi e malsani, che ogni anno causano in Italia centinaia di morti e di invalidi».
«La dignità del lavoro – ha insistito il Pontefice – è la condizione per creare lavoro buono: bisogna perciò difenderla e promuoverla. Con l’Enciclica Rerum novarum (1891) di Papa Leone XIII, la Dottrina sociale della Chiesa nasce per difendere i lavoratori dipendenti dallo sfruttamento, per combattere il lavoro minorile, le giornate lavorative di 12 ore, le insufficienti condizioni igieniche delle fabbriche». Ma anche oggi «la dignità e le tutele sono mortificate quando il lavoratore è considerato una riga di costo del bilancio, quando il grido degli scartati resta ignorato».
«Tra tante difficoltà – ha detto poi papa Francesco – non mancano tuttavia segni di speranza. Le tante buone pratiche che avete raccolto sono come la foresta che cresce senza fare rumore, e ci insegnano due virtù: servire le persone che hanno bisogno; e formare comunità in cui la comunione prevale sulla competizione». Per questo nulla deve anteporsi «al bene della persona e alla cura della casa comune, spesso deturpata da un modello di sviluppo che ha prodotto un grave debito ecologico. L’innovazione tecnologica va guidata dalla coscienza e dai principi di sussidiarietà e di solidarietà. Il robot deve rimanere un mezzo e non diventare l’idolo di una economia nelle mani dei potenti; dovrà servire la persona e i suoi bisogni umani».
Il Pontefice ha concluso il suo intervento augurando ai partecipanti alla Settimana sociale, di essere «un “lievito sociale” per la società italiana e di vivere una forte esperienza sinodale», anche toccando temi spinosi come «la distanza tra sistema scolastico e mondo del lavoro, la questione del lavoro femminile, il cosiddetto lavoro di cura, il lavoro dei portatori di disabilità e il lavoro dei migranti, che saranno veramente accolti quando potranno integrarsi in attività lavorative».
Dopo i saluti inviati dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la parola è stata presa da monsignor Filippo Santoro, Presidente del Comitato preparatore, il quale ha raccontato il lavoro svolto in «stile sinodale» dal comitato, per garantire un appuntamento capace di partire «dai volti delle persone» e non solo dai numeri e dalle statistiche o teorie economiche. Santoro si è poi augurato che gli interventi che si susseguiranno in questi giorni, «partano dal cuore e diventino proposte come se si trattasse di un nostro fratello o figlio, o figlia non da raccomandare, ma da incamminare al lavoro e non ad un incessante pellegrinaggio tra i vari centri per l’impiego. Che il nostro sapere anche accademico sia messo a servizio dei drammi che particolarmente nel nostro mezzogiorno ci feriscono». «Riteniamo possibile – ha sottolineato ancora Santoro – una rigenerazione umana, urbana ed ambientale attraverso un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale a patto che ci sia un cambiamento di paradigma nel nostro progetto di sviluppo globale che parta dal rispetto della dignità della persona umana, dalla cura della casa comune e dalla costruzione della pace».
In questa settimana, ha proseguito il presidente del Comitato, «desideriamo “iniziare processi” che impegnino le comunità cristiane e la società italiana nel suo insieme, affinché il dialogo e la convergenza fra tutte le sue componenti, credenti o non diventi uno stile di democrazia in cui il senso della giustizia prevalga sugli interessi di parte».
Particolarmente denso l’intervento del presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti. «Queste giornate di Cagliari – ha esordito – rappresentano un grande dono per noi, perché ci consentono di ritrovarci insieme, con la disponibilità all’ascolto e al confronto, alla ricerca di soluzioni concrete e di piste da seguire. (…) Abbiamo ascoltato l’augurio che ci ha rivolto papa Francesco di diventare un “lievito sociale” e vivere in questi giorni una forte esperienza di sinodalità. È questo il fine delle Settimane sociali, che non si propongono di “celebrare un bel convegno”, ma di entrare nel vissuto concreto delle persone e della società, nelle loro angosce e nelle loro speranze, mettendo insieme la fase critica della denuncia con quella responsabile della proposta».
Il cardinale Bassetti ha sviluppato la sua riflessione in tre punti, sintetizzati in altrettante parole: lavoro, Paese e politica. Relativamente al lavoro, «il primo elemento da sottolineare – ha detto il Presidente – è che la Chiesa non è un’agenzia sociale che si occupa di lavoro come un qualsiasi ufficio di collocamento pubblico o privato, ma ha profondamente a cuore il lavoro perché lo vede come un luogo in cui si manifesta la collaborazione tra Dio e l’uomo. Il lavoro non è, dunque, solo un “dovere” affinché si possa mangiare, ma è anche un luogo in cui esaltare le capacità di chi lavora con le proprie mani, come Gesù e san Paolo; un momento, inoltre, che si separa dal riposo, altrettanto doveroso e importante; e soprattutto, un momento in cui, valorizzando il binomio uomo-natura, la persona umana si fa collaboratrice di Dio nello “sviluppo della creazione”». Oggi, ha proseguito Bassetti, il corposo insegnamento della Chiesa in termini di lavoro «va assolutamente valorizzato con una rinnovata teologia del lavoro» che trovi i suoi capisaldi nella difesa e nella valorizzazione della dignità umana.
Per quanto riguarda il secondo punto, il Paese, il cardinale Bassetti ha sottolineato come «tutto il mondo occidentale sia attraversato da una nuova questione sociale – che ha profondamente mutato il rapporto tra l’uomo e il lavoro, oltre che la relazione tra l’uomo e la macchina – e anche da nuove disuguaglianze sociali» legate al fatto che troppo spesso il mondo del lavoro «mette al centro il profitto, dimenticando la persona e rendendola di fatto schiava di logiche e strutture che la opprimono, invece che liberarla e assicurarle sicurezza e autonomia». Nemmeno l’Italia è immune da queste dinamiche e a farne le spese sono soprattutto i giovani, costretti a «una drammatica emigrazione di massa». I dati Istat descrivono «un Paese vecchio, anzi, “rapidamente invecchiato”; con livelli di povertà “costantemente superiori” rispetto alla media europea; con tassi di disoccupazione estremamente alti; e con uno sviluppo economico che stenta a ripartire con decisione». Una situazone che «non può lasciare indifferenti tutte quelle donne e quegli uomini “liberi e forti” che hanno veramente a cuore il bene comune». Bassetti ha poi voluto sottolineare tre impegni possibili per Chiesa Italiana a favore della promozione del lavoro: «Anzitutto l’attività degli “oratori come LabOratori”; in secondo luogo, la possibilità di rendere le parrocchie e le diocesi dei luoghi di indirizzo, che forniscano ai giovani le informazioni essenziali per cercare lavoro, attraverso una sezione del sito Cei, costantemente aggiornata; terzo, le borse lavoro, da creare a livello diocesano per avviare all’attività lavorativa in particolare i giovani Neet, quelli che non studiano né cercano lavoro, perché ormai privi di speranza e iniziativa. A questo fine si potrebbe sottoscrivere un protocollo-quadro a livello nazionale tra la Cei e le principali Organizzazioni imprenditoriali per favorire e agevolare iniziative locali sulla base di un format nazionale, flessibile e adattabile alle singole realtà locali».
Per quanto riguarda la terza parola, politica, il cardinale ha ricordato come sia necessaria «una politica coraggiosa che abbia l’imperativo del bene comune». «Bisogna essere franchi – ha sottolineato – il tempo delle chiacchiere è finito. Così come è ormai definitivamente concluso il tempo dei finanziamenti pubblici senza un progetto. (…) Oggi serve una politica coraggiosa che scelga come norma di indirizzo l’imperativo del bene comune: quell’imperativo che si prende cura della popolazione – a partire dai poveri e dai giovani – in modo autentico con provvedimenti concreti e non solo a parole. Le parole se le porta via il vento, i provvedimenti concreti sono invece un tentativo realistico per il futuro dell’Italia e dell’Europa». È giunto il momento, ha insistito il presidente della Cei, «per proporre un grande Piano di sviluppo per l’Italia, che si basi su due elementi di cruciale importanza: la famiglia e la messa in sicurezza del territorio. Bisogna avere il coraggio di investire su questi due fattori che possono essere concretamente due traini per il mondo del lavoro e per un migliore equilibrio della società: perché la famiglia e il territorio sono due elementi che hanno, al tempo stesso, una grande caratura morale e un immediato ritorno economico. Investire sulla famiglia con provvedimenti di natura fiscale e di Stato sociale – applicando il “fattore famiglia” sulle tasse, incrementando il numero degli asilo nido e sviluppando nuove tutele della maternità e della paternità – significa favorire un diverso rapporto tra la famiglia e il lavoro, tra il tempo dedicato all’attività lavorativa e il tempo libero dedicato alla famiglia, al volontariato e al riposo. Oggi, avere a disposizione il tempo rappresenta un bene prezioso: significa non solo aumentare la qualità della vita, ma vuol dire, soprattutto, umanizzare e civilizzare i rapporti interpersonali all’interno della società. Progettare un Piano di sviluppo per l’Italia, inoltre, significa elaborare e attivare un grande progetto per la tutela e la messa in sicurezza del territorio, del suo paesaggio e delle sue inestimabili opere d’arte» garantendo la sicurezza delle persone e mettendo a sistema aziende private e pubbliche, snellendo procedure e regolamenti e facendo investimenti «mirati nel tempo che possano portare ad assumere i nostri giovani».
Bassetti ha poi ricordato come «nel 1961, a Firenze, mentre stava aspettando la visita di un politico britannico a Palazzo Vecchio, Giorgio La Pira scrivesse: “Ho un solo alleato: la giustizia fraterna quale il Vangelo la presenta. Ciò significa: 1) lavoro per chi ne manca. 2) casa per chi ne è privo. 3) assistenza per chi ne necessita. 4) libertà spirituale e politica per tutti. 5) Vocazione artistica e spirituale di Firenze nel quadro universale della città cristiana ed umana”. Queste semplici parole – che costarono a La Pira l’accusa di essere un ingenuo sognatore – sono ancora oggi valide. Perché non sono soltanto delle parole, ma rappresentano la traduzione dei più importanti principi cristiani in ambito politico. La nostra “vocazione sociale” consiste in questo: nel coniugare il pane e la grazia, il diritto al lavoro con la libertà religiosa in un mondo plurale»..
«Nella gioia di questi giorni di impegno e condivisione – ha concluso il cardinale – ci diciamo pronti, come Chiesa, a dare il nostro contributo a promuovere percorsi di formazione, inclusione e sviluppo, con l’ispirazione di quell’umanesimo cristiano del quale vogliamo farci instancabili annunciatori in ogni luogo e in ogni occasione, in modo che lo splendore che rifulge sul volto di Cristo possa illuminare ogni persona e rinnovare ogni ambito della convivenza umana».