Cimiteri, tra memoria e speranza
Da qualche anno è tutto un fiorire di libri sui cimiteri. Alcuni di questi volumi sono dedicati alla visita alle tombe di personaggi illustri del nostro passato; altri invitano a godere della bellezza della cosiddetta scultura funeraria (di cui anche in Italia, nei cimiteri monumentali di Milano e Genova, ad esempio, abbiamo dei notevoli esempi). Altri ancora, i più recenti, cercano di diffondere un nuovo vocabolo, «cimiturismo», vale a dire il girare per cimiteri come turisti, incuriositi da luoghi, tombe, contesti. Qualsiasi sia il motivo per cui un qualunque visitatore mette piede in un camposanto (che bella questa parola che ormai non si usa quasi più…), però, nessuno, dinanzi alle vestigia di tanti uomini e donne, vecchi e giovani e bambini, può esimersi da una riflessione sul senso della vita e della morte. Da una sorta di pellegrinaggio in se stessi che porta alle radici di quella «forza» che sostiene i nostri giorni e che ci fa dire che essi non sono inutili. Nessuno è esente da questa riflessione esistenziale e che non conosce differenze di fede, origine, provenienza, condizione sociale. Ma chi crede a tutto questo aggiunge, o cerca di farlo, qualcosa in più. Una forza che si chiama speranza.
Ce lo ha ricordato anche papa Francesco, durante l’omelia della Messa del 2 novembre 2023, celebrata, come spesso ha fatto in questi anni di pontificato, in un cimitero di guerra (lo scorso anno è stato il Rome War Cemetery, nel rione Testaccio, che conserva le spoglie dei soldati del Commonwealth caduti a Roma durante la seconda guerra mondiale): «La celebrazione di un giorno come quello di oggi ci porta a due pensieri: memoria e speranza. Memoria di coloro che ci hanno preceduto, che hanno trascorso la loro vita, che hanno concluso questa vita; memoria di tanta gente che ci ha fatto del bene: in famiglia, tra gli amici... E memoria anche di coloro che non sono riusciti a fare tanto bene, ma sono stati ricevuti nella memoria di Dio, nella misericordia di Dio. È il mistero della grande misericordia del Signore. E poi speranza. Quella di oggi è una memoria per guardare avanti, per guardare il nostro cammino, la nostra strada. Noi camminiamo verso un incontro, con il Signore e con tutti. E dobbiamo chiedere al Signore questa grazia della speranza: la speranza che mai delude; la speranza, che è la virtù di tutti i giorni che ci porta avanti, ci aiuta a risolvere dei problemi e a cercarne le vie d’uscita. Ma sempre avanti, avanti. Quella speranza feconda, quella virtù teologale di tutti i giorni, di tutti i momenti: la chiamerò la virtù teologale “della cucina”, perché è alla mano e ci viene sempre in aiuto. La speranza che non delude: viviamo in questa tensione fra memoria e speranza».
Andiamo quindi a visitare i nostri cari defunti nei cimiteri, luoghi di memoria e di speranza. Luoghi, talvolta (basti pensare, per esempio, ai piccoli cimiteri di montagna immersi nella bellezza della natura), anche belli e che rimandano alla bellezza della vita, di cui la morte è parte. Andiamoci più spesso, non solo il 2 novembre. Andiamoci per gratitudine verso le vite di chi ha fatto strada con noi. Andiamoci per ricordarci che «C’è un tempo per nascere e un tempo per morire» come sapientemente ci ricorda il Qoèlet. Andiamoci soprattutto per ricordarci che tanto dolore, tanta violenza, tante guerre sono davvero solo il frutto malvagio della stupidità e dell’ingordigia umana di chi pare non pensare che un giorno, come tutti, come noi, dovrà morire.
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