Creare futuri possibili
Difficile parlare di immaginazione, perché difficile è fare sintesi attorno a un tema così vasto da coprire un orizzonte semantico che va dalla psicologia alla filosofia, dalla letteratura alla teologia, dall’arte all’antropologia, e non solo. Eppure ci sono pochi aspetti che, come l’immaginazione, riguardano tutti così da vicino, non fosse altro perché, come sosteneva lo psicologo francese di fine Ottocento Émile Coué, «non la volontà bensì l’immaginazione è la prima delle facoltà umane», visto che nell’uomo si sviluppa attorno ai 15 mesi. Tutti dunque possediamo la facoltà di immaginare. Anche quanti si ritengono poco inclini a farlo. Un esempio illustre? Il giovane Camillo Benso conte di Cavour, il quale – racconta lo storico Alessandro Barbero – disse un giorno di sé: «La mia testa è ragionante e poco inventiva. Cercherei invano di sviluppare in me i talenti dell’immaginazione. Non ne possiedo alcun germe».
Eppure, continua Barbero, Cavour stesso venne contraddetto nei fatti, visto che, nonostante vivesse nel periodo della restaurazione e in una città conservatrice come Torino, riuscì a immaginare (e poi a costruire) l’Italia del futuro. E, al pari suo, se andiamo solo a sbirciare la vita dei grandi «visionari» contemporanei (da Einstein, che a 16 anni si chiedeva: «Che cosa succederebbe se cavalcassi un raggio di luce?», a Steve Jobs, il quale sosteneva che «l’immaginazione dev’essere il centro della nostra vita»), ci rendiamo conto che nessuno di loro avrebbe mai potuto dare vita alle proprie teorie o creazioni, se non avesse prima saputo immaginarle.
Ma l’immaginazione è una dote essenziale pure per i politici, che dovrebbero utilizzarla «per delineare le nuove forme del nostro stare insieme nel mondo» come ha scritto su «Internazionale» Annamaria Testa, esperta di comunicazione. Perché, come leggiamo sull’«European Journal of Psychology», il «cambiamento economico e sociale è guidato da processi immaginativi grazie ai quali la vita collettiva viene sperimentata a livello simbolico, per poi mobilitare questa esperienza allo scopo di raggiungere obiettivi politici».
Appare subito chiaro, quindi, che chiunque voglia addentrarsi nel tema dell’immaginazione si trova a dover fare i conti con la complessità. La stessa che, per certi versi, evocavano i giovani studenti sessantottini quando, gridando nelle piazze «l’immaginazione al potere!» (citazione di Marcuse), auspicavano una visione dell’uomo che non fosse ridotta ai soli consumo e profitto.
Questione di complessità
Che l’immaginazione sia tema afferente alla complessità, ed esso stesso complesso, lo dice anche l’origine della parola. Secondo alcuni, essa deriverebbe dal termine greco eikasia, con il quale si fa riferimento alla «capacità di pensare, indipendentemente da ogni precisa elaborazione logica, il contenuto di un’esperienza sensoriale». Per altri, invece, il termine risalirebbe alla parola della cultura sufi himma, cioè «il potere creatore del cuore». Di quest’ultimo avviso è, per esempio, Matteo Ficara, filosofo e scrittore che proprio all’immaginazione ha dedicato i suoi studi, giungendo a ideare il metodo chiamato «le stanze dell’immaginazione». «Quando si parla di immaginazione – scrive Ficara nel suo volume Andata e ritorno – si parla di una capacità che ha molti volti e spesso capita di fare confusione tra essi».
Così, per esempio, si rischia di confondere immaginazione e fantasia, o immaginazione e visualizzazione: «A differenza dell’immaginazione – spiega Ficara –, la fantasia è più un uso ricombinatorio che facciamo di immagini che abbiamo già nel nostro immaginario, che non piuttosto un’esperienza della coscienza. È una tecnica di creatività per far giocare il cervello con le immagini piuttosto che con le parole». Mentre la visualizzazione sarebbe sostanzialmente un modo di far agire la fantasia, utilizzando immagini già presenti nell’immaginario.
L’immaginazione, invece, secondo Ficara è un’esperienza molteplice: può essere solo ricettiva «ovvero di pura meraviglia, ove la coscienza scopre dei contenuti di se stessa che prima non poteva minimamente pensare di sapere» o può legarsi all’uso della memoria, vale a dire che quando ricordiamo ci troviamo in una sorta di immaginazione passiva, dato che i ricordi ci assalgono in forma di immagini che portano a galla un vissuto. O, ancora, può essere «attiva» e riguardare anche il nostro quotidiano: «Immaginiamo che cosa preparare per pranzo, che cosa dire a un colloquio importante e così via».
Una sottolineatura preziosa ci giunge anche da fratel Luciano Manicardi, monaco, già priore della Comunità di Bose, autore de L’immaginazione: potenza di Dio, potenzialità dell’uomo (Edizioni Qiqajon), il quale ricorda come l’immaginazione sia una facoltà tra le più generative di un essere umano. «La generatività dell’immaginazione creatrice – dice infatti – consiste nel creare dei possibili scenari, nell’aprire dei varchi là dove non si vedono vie d’uscita. L’immaginazione crea futuro, indica vie da percorrere liberando dall’inerzia e dal senso di impotenza. Essa crea futuro suscitando u-topie ma anche cercando di darvi forma: l’immaginazione vuole dare un luogo al futuro creando delle eu-topie, cioè dei luoghi, delle esperienze storiche, collettive, che si caratterizzino per ciò che è significato dal prefisso “eu”, bene. Spazi di condivisione e convivialità, partecipazione e solidarietà, di scambio delle storie e delle narrazioni, che danno senso all’oggi e aprono al futuro; che mentre colmano di significato l’oggi delle persone e delle loro relazioni, indicano la direzione di cammino, la meta verso cui orientarsi.
Possiamo pensare che l’ideale di fraternità e sororità universale sia un’utopia che mai si realizzerà storicamente: essa è meta e cammino al tempo stesso; è meta restando sempre cammino. E che cos’è un’utopia se non una sorta di orizzonte? “L’orizzonte è irraggiungibile. E allora a che cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare” (Eduardo Galeano). L’immaginazione crea speranza e ne invera l’autenticità creando zone di realtà che anticipino nell’oggi qualcosa del suo compimento».
«L’uomo – avverte ancora Manicardi – non è solo razionalità, ma anche emozione e desiderio, creatività e potenza di immaginazione. Noi ci relazioniamo spesso alla realtà per mezzo di simboli e di immagini; usiamo immagini per esprimere la realtà, ma anche per plasmarla e darle un ordine e un senso. Ci serviamo di immagini per comunicare la nostra esperienza del mondo, per interpretarlo e abitarlo insieme con altri. L’immaginazione è un processo di ristrutturazione delle informazioni di cui è dotato un individuo, in stretta dipendenza dai nuovi rapporti che egli istituisce con la realtà naturale e sociale. Essa parte dalla realtà, ma non ne è una copia: è immaginazione creatrice, la combinazione in forme nuove di elementi provenienti dall’esperienza, ma che ad essa non possono essere più ricondotti direttamente, perché ne danno una nuova configurazione che è propriamente mentale. Per cui i prodotti dell’immaginazione, una volta che hanno preso corpo, rientrano nella realtà come una nuova forza attiva, trasformatrice della realtà stessa. L’immaginazione consente all’uomo di esprimere il suo anelito a un mondo diverso da come si presenta e operare per costruirlo».
Non solo. «L’immaginazione – suggerisce ancora il monaco – è essenziale anche per la libertà. Essa compie infatti la libertà umana. La forma attuale dell’addomesticamento della libertà è quella di cercare il controllo anche sull’immaginazione: creare a ritmo continuo oggetti nuovi e vendere possibilità sempre nuove che catturino la mente degli uomini ridotti a consumatori. È come la libertà di fronte al televisore: libertà di cambiare canale tra le centinaia e centinaia che si possono vedere, libertà non di iniziare qualcosa ma di reagire soltanto, di restare all’interno di un quadro di offerte prefissato. L’immaginazione è potenzialità vitale, capacità di tenersi in vita nutrendo una speranza, tenendo viva una piccola luce anche nel buio più pesto. Custodendo la libertà, essa custodisce la nostra umanità».
Paradossalmente, non ci fermiamo mai a considerare che se l’immaginazione appartiene costitutivamente all’essere umano, ancor più essa appartiene a Dio Padre, del quale noi siamo fatti a... immagine. «Il Dio creatore – chiosa a riguardo Luciano Manicardi – è anche il Deus imaginans. L’opera di creazione è anche opera di immaginazione. Nel libro della Genesi (Gen 1), Dio crea mediante la parola: questa nomina ciò che ancora non esiste e lo fa venire all’essere. La parola creatrice vede ciò che ancora non c’è e gli dà una forma. È parola abitata da un occhio che vede l’invisibile e veicolata da una intenzionalità, da una volontà, da una progettualità, da una immaginazione e da un desiderio: il Deus creator è anche il Deus imaginans e il Deus desiderans. Il Dio, cioè, che desidera l’alterità del mondo e, soprattutto, dell’uomo. Creato quale immagine di Dio, l’uomo è sua imago e, in quanto tale, anche homo imaginans. L’immaginazione allora è potenza creatrice di Dio e potenzialità insita nell’uomo. L’uomo si umanizza anche mediante l’attività di immaginazione che diviene capacità di sognare un mondo altro, il Regno di Dio, Regno di fraternità e sororità universali. Il Nuovo Testamento, presentando Gesù quale “immagine del Dio invisibile” (Col 1,15), indica al credente anche la via della sua piena umanizzazione. La fede lo conduce all’assunzione della pratica di umanità di Gesù nella propria esistenza. Si tratta di diventare umani a immagine di Gesù di Nazaret».
Il dialogo interiore
Ma se l’immaginazione rappresenta quanto fin qui detto, appare chiaro che ci sono periodi storici nei quali essa diviene essenziale, questione quasi di sopravvivenza. «Se l’immaginazione è facoltà utile e perfino salvifica sempre – avverte infatti Manicardi –, essa diviene necessaria nei tempi bui, quando tutto porta a disperare. Nel periodo buio e tetro dell’esilio babilonese, l’immaginazione profetica ha espresso le più audaci speranze e le più coraggiose visioni del futuro, le utopie che hanno manifestato un impatto storico e sviluppato una capacità di mobilitare persone, masse e popoli, verso cammini di liberazione e di pienezza di vita: l’annuncio del nuovo esodo e la prospettiva della liberazione dalla schiavitù babilonese si sono accompagnate alla visione di un mondo senza più armi e guerre e perfino di una vita liberata dalla tirannia del male e della morte. Pertanto, i tempi bui sono forse i momenti in cui più che mai occorre opporsi al disfattismo mettendo coraggiosamente in atto pensiero e immaginazione, riflessione e creatività per dare forma a ciò che non c’è. Ma quando si dà forma mentale e condivisa a ciò che nel mondo non c’è, questa cosa comincia ad abitare nel mondo e diventa una cosa che non c’è ancora. Nasce la categoria del non ancora: categoria potente, perché dinamizza energie, sprona volontà, mobilita persone. Credo che oggi la Chiesa, nella crisi epocale che sta vivendo, deve più che mai mettere in atto immaginazione, creatività e coraggio per discernere i sì e i no che deve dire per iniziare già oggi a dare forma al suo futuro. Perché se si continua pigramente e irresponsabilmente a fare le cose di sempre e come sempre, le cose non cambieranno».
L’immaginazione, l’abbiamo visto, abita la realtà ma parte da uno sguardo interiore che va allenato affinché il potere dell’immaginare non vada perduto o l’essere umano stesso non smarrisca il suo potenziale. Come fare, dunque? «L’immaginazione – risponde ancora il monaco – si radica nella vita della mente, esprime la vita interiore e accompagna il desiderio della persona. La vita interiore la si sviluppa quindi con l’ascolto di sé, l’interrogazione, il dialogo interiore, la creazione di nessi tra moti interiori (emozioni, sentimenti, pensieri) ed esteriorità (fatti, eventi, relazioni); essa richiede silenzio e solitudine, riflessione e giudizio, per giungere ad attivare la volontà e a esprimersi in azione. Di fronte alla tentazione contemporanea della fuga da sé, la vita interiore cerca di rendere la persona dimora a se stessa e di condurla ad abitare se stessa. Ma questo richiede il coraggio di affrontare il viaggio più lungo e difficile, quello, mai terminato, della conoscenza di sé. Una conoscenza che trova il suo ancoraggio salvifico nella prova di realtà, nella capacità di reggere l’urto del reale, di saper abitare non solo se stessi, ma anche le relazioni con gli altri e il reale. E di abitarlo creativamente».
Se l’immaginazione aiuta quindi ad abitare anche le relazioni con gli altri, possiamo supporre che quando essa è ben utilizzata, vale a dire messa a frutto nelle sue potenzialità, può favorire relazioni più profonde. «Certo. L’immaginazione crede il futuro, lo prepara e lo crea – ricorda Luciano Manicardi –. Essa rende realtà ciò che, quando è stata immaginata, era impossibile a realizzarsi per mancanza di mezzi adeguati. L’immaginazione è dunque animata da grande energia fiduciale e, come apre il futuro, così crede all’altro, non lo rinchiude in etichette e definizioni, ma tiene aperta la relazione con lui e anzi la approfondisce creando le condizioni perché l’altro si possa manifestare in piena libertà. Vedendo l’invisibile, essa coglie ciò che è nascosto nell’altro, o temporaneamente bloccato, e credendo in lui, gli infonde forza e fiducia in sé. E può rivelare all’altro potenzialità e risorse che fino allora gli erano rimaste sconosciute. Inoltre, l’immaginazione è ingegnosa, intelligente, dinamica, aperta al nuovo, e così inventa modalità inedite di incontro, di collaborazione, di prossimità, prospettando scenari prima inesistenti che diventano un cammino fatto insieme. Perché, in profondità, l’immaginazione è una dimensione dell’amore». Chiaro, però, che per compiere tutto quanto descritto «l’immaginazione deve avere l’umiltà di confrontarsi con la realtà e venire a patti con essa. Dunque deve nutrirsi di umiltà e di pazienza».
Se dunque l’immaginazione è così preziosa per la vita dell’essere umano, per la la società, per le relazioni, per creare futuri buoni possibili, come possiamo educare le generazioni più giovani a coltivarla? «Purtroppo oggi il modello diffuso e ancora dominate nel campo educativo è quello istruzionistico – conclude fratel Manicardi – che prevede, da parte dell’insegnante, la formulazione di un programma che guida l’insegnamento a cui segue un’attività di verifica e, da parte del discente, privilegia le doti dell’attenzione e della memoria. Ma se noi riteniamo, con Einstein, che “l’immaginazione è molto più importante della conoscenza”, occorre fare spazio all’immaginazione anche in campo educativo. Perché sia seriamente assunta in campo scolastico e formativo, però, l’immaginazione deve essere colta come facoltà conoscitiva che consente di avere presa sul mondo attraverso la rappresentazione, l’interpretazione e la trasformazione delle sue forme. In questo, elementi come il gioco, la lettura, la scrittura, l’attività artistica sono luoghi formativi che onorano il senso dell’immaginazione come viaggio nell’alterità: un altro io (nel gioco c’è travestimento, si inventano identità, ci si finge pirati o indiani), un’altra vita (la lettura ci fa vivere vite che non sono le nostre), un’altra dimensione (l’arte trasfigura il reale o crea del nuovo, che sia nelle arti plastiche, nella scrittura, con il linguaggio musicale o quello gestuale e vocale del teatro). Educare all’immaginazione sollecitando e sviluppando la facoltà immaginativa propria del bambino aiuta lo strutturarsi di un’intelligenza creativa, lucida, fiduciosa, produttrice di nuovo, che rischia l’errore ma lo affronta con coraggio e si dispone a imparare da esso. E, soprattutto, che onora quel proprium dell’umano che, secondo lo storico e scrittore israeliano Harari, è la capacità di trasmettere informazioni su cose che non esistono, di parlare, intrattenersi lungamente su cose che gli uomini non hanno mai né visto né toccato (miti, leggende, divinità) e di farlo collettivamente, cioè creando comunità».
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