Pace è bene
Ci sono parole che trattiamo male, perché abbiamo dimenticato la loro origine, il loro senso profondo, l’importanza che hanno per la nostra vita di esseri umani. Una di queste, particolarmente mortificata ai nostri giorni, è «pace». Mai come oggi ci sarebbero le condizioni per vivere bene, per cercare di ridurre le disuguaglianze, per superare i conflitti. Invece ciascuno si chiude difensivamente in se stesso: le persone, i gruppi di interesse, gli Stati. E questo non può che accendere e, quel che è peggio, legittimare i conflitti.
Pensiamo che la guerra serva a difendere i diritti di un popolo. Ma ha ragione Hannah Arendt: la guerra non restaura diritti, ridefinisce poteri. E, comunque la si guardi, è un fallimento della nostra umanità. La cultura dell’individualismo è il terreno fertile perché si sviluppino i sentimenti di ostilità che infiammano i conflitti. «Pace» è una parola dall’origine sanscrita (pag, pak), che rimanda all’idea di legame, di connessione, di solidarietà. Il contrario dell’individualismo, insomma. Possiamo essere in pace e «fare» la pace solo se siamo consapevoli che tutto è in relazione: con l’ambiente, con chi ci ha preceduti, con chi verrà dopo, con chi sembra troppo diverso.
La pace è audace e attiva: non è solo un «no alla guerra», ma è un «sì all’incontro, al dialogo, alla ricerca paziente e tenace di ciò che ci accomuna piuttosto che di ciò che ci divide». Ricordiamo sempre le parole di papa Francesco: «Dio sta con gli operatori di pace, non con chi usa la violenza».
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