Piove nella fantasia
Si inforcava un manico di scopa e si iniziava a correre in casa o in giardino... e in un attimo ci si sentiva in sella a un destriero focoso, oppure su un tappeto volante, o magari in viaggio tra le stelle, a bordo di un’astronave sperduta nell’universo. Di sicuro da bambini facevate anche voi questo gioco. E forse anche «da grandi» qualche volta vi sarete trovati a perdervi nei pensieri su un luogo da visitare, su un oggetto desiderato, su una persona che avreste voluto conoscere. Quando la fantasia galoppa possiamo davvero vivere «mondi paralleli»: «Sono le fantasie spesso a darci forza, a rendere la vita degna di essere vissuta, a trasformare la realtà quotidiana, talvolta noiosa, in mondi fantastici e fantasiosi», ricorda lo psicologo Paolo Legrenzi nel suo saggio edito da Il Mulino. Anche materie che ci appaiono molto «concrete», come le questioni economiche, hanno spesso bisogno di un pizzico di fantasia e di uno scatto di creatività: «Siamo l’unica specie sulla Terra che può andare oltre le sue esperienze, dirette o indirette, immaginando mondi alternativi – aggiunge il professor Legrenzi –. La vita dell’uomo sarebbe “nuda” se la sua mente non fosse capace di lavorare con la fantasia».
«La fantasia è un posto dove ci piove dentro», ha scritto simpaticamente Italo Calvino in una delle sue Lezioni americane, citando a modo suo un verso dal Purgatorio di Dante, quello in cui il Poeta celebrava «l’alta fantasia», ovvero la parte più elevata dell’immaginazione che lui riteneva «scendere» direttamente da Dio. Calvino (di cui il 15 ottobre ricorrerà il centenario della nascita) è stato un maestro di fantasia e nei suoi romanzi, come Il cavaliere inesistente o Il barone rampante, ha trasfigurato la realtà in favole moderne, tutte da (ri)scoprire.
Già, ma che cos’è la fantasia? E quante sfumature può avere? In un iconico libro pubblicato da Laterza nel 1977, il designer Bruno Munari ha provato a fissare alcune definizioni: «La fantasia è tutto ciò che prima non c’era, anche se irrealizzabile», e sue parenti strette sono l’invenzione («Tutto ciò che prima non c’era ma è esclusivamente pratico») e la creatività («Tutto ciò che prima non c’era ma è realizzabile in modo essenziale e globale»). C’è poi l’immaginazione che spesso si tende a considerare un sinonimo della fantasia, anche se gli esperti fanno qualche distinzione: «La fantasia, l’invenzione e la creatività pensano, l’immaginazione vede», ha aggiunto Munari.
«La fantasia inventa realtà, mondi possibili; l’immaginazione trova una risposta creativa a un problema noto, presente nel mondo reale», argomenta Legrenzi. Insomma, «mentre l’immaginazione prende traccia dell’esistente, la fantasia ha a che fare con la produzione di immagini che non sono reali», ci spiega la professoressa Carola Barbero, docente di Filosofia del linguaggio all’Università di Torino, che ne La porta della fantasia (Il Mulino) ci invita a riflettere sul nesso tra invenzione e scoperta, tra il fare sul serio e il fare finta. La fantasia ci fa volare verso paesaggi sconfinati: «Per certe persone la fantasia è capriccio, bizzarria, stranezza – ha scritto sempre Bruno Munari –. Per altri è finzione, nel senso di non realtà, voglia, estro. Per certi contadini è il ballo popolare. Per altri è allucinazione, fisima, ghiribizzo. Può essere intesa come fantasticheria, come fantasmagoria, come ispirazione, come vena». A ciascuno la propria fantasia.
Come marmellata
La fantasia viaggia veloce, percorre strade sorprendenti e vede quello che non c’è. È pane quotidiano soprattutto per gli scrittori, gli sceneggiatori, i creatori di storie. Viene da pensare che la fantasia possa davvero fare ciò che vuole. O invece è necessario che rispetti dei vincoli, delle regole? «Lungi dall’essere una facoltà completamente libera e sregolata, la fantasia funziona su basi molto concrete e reali», fa notare Carola Barbero che ricorda anche un’intervista che Italo Calvino concesse quarant’anni fa ad Alberto Sinigaglia e Bruno Gambarotta: «Io credo che per prima cosa ci vogliano delle basi di esattezza, metodo, concretezza, senso della realtà – diceva lo scrittore –. È soltanto su una certa solidità prosaica che può nascere una creatività. La fantasia è come la marmellata: bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane». E queste fette di pane – aggiunge la professoressa Barbero – sono tutte le nostre esperienze, «storie vecchie tramandate di generazione in generazione, persone che abbiamo conosciuto e non ci sono più, aneddoti che ci hanno raccontato e non sappiamo nemmeno se siano veri. È dalla concretezza (o dalle sbarre) delle nostre esistenze che la fantasia prende vita per portarci in alto, «nel blu dipinto di blu», come cantava Domenico Modugno”.
Spaesamento sistematico
Proprio sulle regole della fantasia si è interrogato a lungo anche Gianni Rodari, straordinario creatore di storie, che con la sua Grammatica della fantasia (Einaudi) ci ha lasciato un manuale «per mettere in movimento parole e immagini», il catalogo di quelle tecniche d’invenzione che ha divulgato nelle scuole e tra i bambini. Rodari era sempre rimasto colpito da uno dei Frammenti del poeta e filosofo tedesco Novalis (1772-1801): «Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare». Ecco dunque l’esigenza di mettere in moto tutti i meccanismi della fantasia. Una storia – ci ha insegnato Rodari – può nascere anche solo da un «binomio fantastico», l’abbinamento di due parole apparentemente distanti, prive di legami: «Quando facevo il maestro, mandavo un bambino a scrivere una parola sulla facciata visibile della lavagna, mentre un altro bambino ne scriveva un’altra sulla facciata invisibile. Se un bambino scriveva, in vista di tutti, la parola “cane”, questa parola era già speciale, pronta a far parte di una sorpresa. Girata la lavagna, si leggeva, poniamo, la parola “armadio”. Ora, un armadio, in sé, non fa né ridere né piangere. Ma quell’armadio, facendo coppia con un cane, era tutt’altra cosa. Era una scoperta, un’invenzione, uno stimolo eccitante». E da lì poteva germogliare un racconto, una storiella. Lo stesso processo di «spaesamento sistematico» è stato adottato anche da vari artisti, come Giorgio De Chirico che nelle sue visioni metafisiche dipingeva un armadio immerso in un paesaggio classico.
La porta della fantasia
Gianni Rodari ha esaminato tutte le «regole» che dovrebbe seguire la fantasia, non soltanto per se stessa, ma anche per i suoi fruitori: per esempio, si è chiesto quanto i bambini (che «assorbono» avidamente le storie che vengono loro raccontate e che sono, notoriamente, dei «conservatori») siano disponibili a tollerare i cambiamenti nelle narrazioni che vengono loro presentate abitualmente. «Quali errori possiamo inserire nelle storie senza che i bimbi si ribellino?», annota Carola Barbero.
Qualche mese fa, in una conversazione, la famosa regista Emma Dante (che dirige anche spettacoli per ragazzi) ci ha confidato che ogni sera racconta a suo figlio una storia di pura invenzione, «altrimenti non ne vuol sapere di andare a dormire». E ogni volta deve essere una storia differente. Questo «rito» quotidiano diventa dunque un fondamentale esercizio di fantasia. Ma al giorno d’oggi, immersi come siamo in un mare di informazioni e di immagini, ci sembra di aver tutto a portata di mano e la fantasia viene messa a dura prova: come puoi «fantasticare» se la Rete ti offre ogni risposta e addirittura ti può trasportare in mondi diversi, in un metaverso di spazi virtuali? Oggi esiste (o resiste) ancora la fantasia? «Di sicuro oggi la fantasia è un lusso che si possono concedere soltanto le persone che siano disposte a fare uno sforzo, ma anche a trovare la maniglia della porta della fantasia», sorride Carola Barbero. Di solito si pensa che i bambini abbiano tanta fantasia e gli adulti invece la perdano, «ma questo non significa che scompaia la porta della fantasia – continua la docente –. Semplicemente gli adulti non riescono più a trovarne la maniglia perché non hanno tempo, non hanno pazienza o hanno perso la capacità di stupirsi. Con lo scorrere degli anni, diventano sempre più parte degli ingranaggi della loro esistenza, delle loro abitudini e dei loro doveri, e spesso non hanno più la disponibilità a introdurre variazioni».
E i bambini? Tra tablet, smartphone, tv, quanto resta in loro di una fantasia «pura», sincera? Secondo la professoressa Barbero, «nei più piccoli, come negli adulti, si è perso il fascino della pagina bianca, del vuoto. Anche nei dibattiti dei filosofi antichi compariva questo horror vacui, e tuttavia il vuoto (come ci hanno insegnato gli atomisti) è l’unica condizione che permette il movimento». Guardando gli adulti «che riempiono furiosamente ogni angolo vuoto», anche i bimbi stanno smarrendo la capacità di mettersi davanti a un foglio bianco (che può anche dire semplicemente fissare un muro o il soffitto) senza essere già stracolmi di contenuti. «Si teme la noia come se fosse la strega cattiva – prosegue Carola Barbero – quando invece proprio nei momenti più “vuoti” o più distratti possono nascere le idee più geniali».
Fantasticare troppo può diventare un problema, può far perdere il contatto con la realtà (e diventa anche una malattia, il maladaptive daydreaming o disturbo da fantasia compulsiva). Ma un pizzico di sana fantasia fa bene a tutti. Come quando viaggiamo in treno e guardiamo il mondo che «corre» fuori dal finestrino. Oppure quando ci incantiamo a fissare un quadro e pensiamo alla storia di coloro che vi sono ritratti. Quante idee possono nascere in quel momento... La fantasia è vita, desiderio, proiezione futura. E, tutto sommato, se non ci fosse la fantasia bisognerebbe inventarla.
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