«Credo, Signore!»
«In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. Rispose Gesù: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. […] Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe”, che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. […] Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: “Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo”. Allora alcuni dei farisei dicevano: “Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato”. Altri invece dicevano: “Come può un peccatore compiere segni di questo genere?”. E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: “Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?”. Egli rispose: “È un profeta!”. […] Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: “Dà gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore”. Quello rispose: “Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo”. […] Rispose loro quell’uomo: “Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”. Gli replicarono: “Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?”. E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”». Ed egli disse: “Credo, Signore!”. E si prostrò dinanzi a lui».
Giovanni 9, 1-41
Quante volte anche noi siamo ciechi. Quante volte io (Edoardo) mi irrito con Chiara perché, a mio parere, non mi parla con garbo o è ingiusta nei miei confronti. Quanto cieco sono in quelle occasioni! Mi accorgo che non so vedere il dolore, la fatica, le ferite, la storia che hanno portato Chiara a parlarmi in quel modo in quel determinato momento, perché anche lei, come me, è stata partorita cieca.
Il Signore, in questo brano del Vangelo, ci dice che non siamo ciechi a causa dei nostri peccati o di quelli dei nostri genitori, siamo ciechi semplicemente perché solo incontrando Lui potremo cominciare a distinguere la forma delle cose. Solo se guardo alla croce vedo che mia moglie non è mia nemica, ma una persona con le sue fragilità, come me. Solo se guardo alla croce comprendo che anch’io, nel mio matrimonio, sono chiamato ad amare le imperfezioni dell’altro, non a reclamare giustizia. Solo se guardo alla croce comprendo che tutto questo è possibile, non per uno sforzo di volontà, ma grazie alla scoperta di aver ricevuto immeritatamente un sovrabbondante amore.
In questo brano non è il cieco che chiede la vista, proprio come capita a noi, che nei momenti di incomprensione con il coniuge o con i figli non abbiamo neppure l’ardire di chiedere di poter vedere. Eppure, basta un passaggio della Parola, un ritiro spirituale, una testimonianza, un confronto con una coppia amica per aprirci all’improvviso gli occhi, consentendoci di guardare tutto sotto una nuova prospettiva: senza chiedere, cominciamo a vedere.
Prima, però, c’è la strada che il nostro amico cieco deve percorrere dal punto in cui incontra Gesù fino alla piscina di Sìloe. Vale a dire che per venire sanati c’è, prima, da compiere la strada della fiducia verso Sìloe, ci sono i lavaggi ai nostri occhi malati: c’è un cammino da intraprendere, da soli e con la nostra comunità, un tempo in cui confrontarsi, in cui comprendere che cosa è successo e a che cosa siamo chiamati, un percorso fatto di dubbi, intuizioni, ricadute e ripartenze.
Ci saranno anche persone che ci diranno che le cose che abbiamo vissuto nell’incontro con Cristo sono baggianate assurde e insufficienti («Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato») e altri che invece ci sosterranno e ci aiuteranno («Come può un peccatore compiere segni di questo genere?»). Come il nostro amico, ormai ex cieco, saremo spesso chiamati a dare testimonianza di quello che abbiamo vissuto e noi racconteremo solo quello che abbiamo compreso fino a quel momento («Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo»).
Questo percorso – che nel testo è sintetizzato, ma nelle nostre vite si dilata nel tempo – ci porterà gradualmente più vicini alla verità e ci farà comprendere il ruolo che Cristo ha nella nostra storia di coppia («Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla»).
In tutto questo saremo chiamati a sfatare idee ingenue sulla relazione di coppia, cose del tipo: «Basta volersi bene», «Se non c’è più sentimento meglio lasciarsi», «Dovrebbe capirmi al volo», «Non serve a niente farsi aiutare da un estraneo», «Ma che cosa vuoi che ne sappia la Chiesa di relazione di coppia»… Saremo chiamati a testimoniare la «bellezza complessa» del matrimonio come via di salvezza.
Il brano evangelico, infine, narra che l’ormai ex cieco incontra una seconda volta Cristo. È a questo punto che egli, diventato, grazie al percorso compiuto, consapevole, può manifestare la sua fede: «Credo, Signore!». E noi coppie in che cosa crediamo? Nella nostra volontà? Nelle nostre intelligenze? In ciò che ci dice il mondo? O crediamo che solo Cristo possa essere il nostro maestro in amore? «Credo, Signore!».
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