In dialogo, da amati

Il dialogo autentico presuppone il riconoscimento reciproco, il considerare l’altro portatore di una originalità irriducibile.
19 Agosto 2024 | di

Sono più di dieci anni da che il gesuita padre Paolo Dall’Oglio è stato sottratto alla nostra presenza. Non si sa come dirlo in modo diverso. Non sappiamo nulla di lui da quando è scomparso a Raqqa, in Siria, e gli appelli dei famigliari per avere restituito almeno il corpo (quanto è importante il corpo) non hanno portato risultati. Voleva «seminare la pace tra i figli di Abramo e testimoniare il Vangelo». Aveva richiamato in vita il monastero di Mar Musa al-Habashi, in Siria. Una comunità monastica che immaginò cattolica ed ecumenica. A Roma questo gli fu contestato quando sottopose la Regola all’approvazione. Come mettere insieme le due cose? Eppure non si potevano separare. «Chi si appresta a dialogare, non conosce le risposte agli interrogativi», scriveva. Cioè: chi dialoga deve prendere sul serio chi ha davanti, come portatore di una originalità irriducibile, l’interlocutore gli può portare davvero qualcosa che non sa, altrimenti non è dialogo, diremmo noi, è insegnamento, ammaestramento, proselitismo. Io ho la verità e la condivido con te, magari generosamente. Ma tu, invece, non ce l’hai e sei, tanto o poco, nell’errore.

Carla Melazzini è stata insegnante e ideatrice del Progetto Chance, un’esperienza nata a Napoli nel 1998 dalla realtà dei «maestri di strada» e rivolta ad adolescenti con una storia di dispersione scolastica e di disagio sociale. Era finanziato dal ministero della Pubblica Istruzione, animato da docenti che lo avevano scelto, ha coinvolto le dissestatissime famiglie di tanti ragazzi, soprattutto le mamme, «mamme sociali» erano chiamate, ha letteralmente salvato decine di giovanissimi destinati alla delinquenza. Lei scriveva: «La dura legge del dialogare non tollera la irrilevanza degli interlocutori». Gli «sgarrupati» ragazzi in mille modi offesi dalla vita e portatori di comportamenti inquietanti che la scuola Chance incontrava non erano da riempire, correggere, raddrizzare, erano persone da ascoltare davvero come piene di valore. Un’esperienza di fede e una storia felice di educazione e formazione con la stessa regola, il valore assoluto di ogni persona. Oggi è sempre più difficile dialogare. Viviamo polarizzati, su qualsiasi argomento. In politica la mediazione più che un’arte nobilissima è vista come una debolezza. Sui social bisogna darsi contro per avere l’ultima più aggressiva parola. Nei colloqui occasionali siamo assertivi, feroci. 

In tutto questo, ci si chiede: la persona che abbiamo davanti è ancora rilevante per noi? Che l’altro o l’altra ci appaia interessante è, come dire, un prerequisito non solo dell’amore ma anche di ogni seria relazione. Nel Vangelo la trasformazione della vita dei discepoli passa attraverso lo sguardo di Gesù che vede e si ferma a dialogare, trova rilevanti le vite più disparate. Quelle normali dei pescatori, quella meno irreprensibile di un esattore dei tributi, quella di una donna che i maschi di potere hanno già giudicato peccatrice e condannato, quella della straniera Cananea che ci mette un po’ ad attirare l’attenzione del Messia, ma alla fine lui la vede così tanto e ne vede così bene le giuste ragioni, che cambia la propria convinzione circa i destinatari della salvezza e sì, da quel momento la predicazione è per tutti e non solo per gli ebrei. E poi c’è la vita dei bambini, che i discepoli allontanano, tanto, che cosa possono mai capire, si dirà, e lui invece vuole intorno a sé.

È una meraviglia come il riconoscimento possa creare vite rinnovate, riparate, fin dove si può; in ogni caso la vita, improvvisamente come per Zaccheo, o un poco alla volta, per nobili slanci e clamorose cadute come per Pietro, si tiene insieme grazie alla promessa contenuta nello sguardo che ci riconosce. Pieni di valore. Amatissimi.

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Data di aggiornamento: 19 Agosto 2024

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