Dio nel silenzio
«Te lo ricordi Gondrano, il cavallo stakanovista della Fattoria degli animali di Orwell? Quello convinto che l’unico scopo nella vita fosse di contribuire alla rivoluzione degli animali lavorando sempre di più? E che fu mandato al macello dai suoi stessi sodali, quelli per cui si era sfinito di lavoro fino quasi a morirne? Beh, io mi sentivo una specie di Gondrano: mi arrabattavo nel tentativo di fare tutto, arrivare a tutto, controllare tutto e non mi accorgevo che, nel frattempo, dentro di me stavo morendo». A parlare è Serena, 52 anni, un lavoro impegnativo, due figli ancora in casa e un padre malato da seguire. «Ero sempre presa da mille cose e più facevo più in realtà ero insoddisfatta. Mi sentivo arida, indurita, a volte quasi cinica. Un giorno, sull’orlo di una crisi di nervi, mi sono confidata con una collega, una donna di fede, e lei mi ha aperto un mondo che non conoscevo: quello della meditazione cristiana.
Da allora non c’è giorno in cui per almeno mezz’ora non mi dedichi a questa pratica. Posso essere stanca morta, ma alla sera, quando tutti sono a letto, io mi siedo sul basso sgabellino di legno che la mia collega mi ha regalato, porto i piedi indietro finché le ginocchia non toccano terra, raddrizzo la schiena, mi metto comoda e avvio un po’ di musica, socchiudo gli occhi e recito la preghiera d’inizio che ormai so a memoria. Poi cerco di liberare la mente e di sentire solo il ritmo del mio respiro e comincio a ripetere dentro di me un’invocazione, una sorta di mantra, Maranathà, che in aramaico significa “vieni Signore”. Non è facile restare immobile, lasciando andare i pensieri, ma ne vale la pena. Perché da quando ho sperimentato questa dimensione di preghiera la mia vita è cambiata: non solo la frenesia si è un po’ placata, ma soprattutto sono più ben disposta verso gli altri, aperta all’ascolto. È come se mi sentissi un po’ più vicina a Dio, più fiduciosa, più “colma” di Lui. Più amata».
Nulla di nuovo sotto il sole
I più dotti chiamano questa forma di preghiera esicasmo (dal greco esichia, «immobilità, riposo, silenzio», e hesychazo, cioè «mantenere la calma»), con un termine diffuso soprattutto in ambito ortodosso. Noi preferiamo definirla qui semplicemente «preghiera silenziosa» o «meditazione cristiana», facendone risalire l’origine non solo ai Padri della Chiesa, ma ancor prima al Vangelo (Matteo 6,6), laddove Gesù stesso dice: «Entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». La meditazione cristiana fu divulgata soprattutto da Evagrio Pontico, nel IV secolo, da Giovanni Climaco e da Giovanni Cassiano, il quale la introdusse all’interno dei movimenti monastici occidentali. Dopo anni di oblio, da qualche tempo si è riaffacciata con forza nel panorama delle pratiche religiose cristiane, grazie anche all’opera di alcune realtà che ne hanno fatto una delle loro cifre caratteristiche. È il caso, per esempio, dei Ricostruttori nella preghiera (ordine sorto alla fine degli anni ’80 del secolo scorso) o della Comunità mondiale per la meditazione cristiana (WCCM).
Quest’ultima, cui si deve forse l’impulso più significativo per la riscoperta della meditazione cristiana in Occidente, fu creata dal benedettino John Main, attorno al 1970. Egli, partendo dallo studio degli insegnamenti dei padri del deserto, comprese che in realtà la «preghiera del cuore» era l’essenza della tradizione cristiana e decise quindi di integrarla nei tempi previsti dalla Regola di san Benedetto. A proposito di Benedetto, anche il Papa emerito, Benedetto XVI, quando era ancora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, parlò della meditazione cristiana come di un’esigenza presente «in molti cristiani del nostro tempo» di imparare «a pregare in modo autentico e approfondito, nonostante le non poche difficoltà che la cultura moderna pone all’avvertita esigenza di silenzio, di raccoglimento e di meditazione». (Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana, 15 ottobre 1989).
E pure papa Francesco, nell’udienza generale del 28 aprile 2021, ha dedicato al tema un’ampia catechesi, ricordando come, pur essendo la meditazione un’attività comune a molte religioni e diffusa anche nel mondo laico, la meditazione cristiana abbia una propria specificità: deve entrare «dalla porta di Gesù Cristo» perché «il cristiano, quando prega, non aspira alla piena trasparenza di sé, non si mette in ricerca del nucleo più profondo del suo io. Il cristiano cerca un’altra cosa. La preghiera del cristiano è anzitutto incontro con l’Altro, con l’Altro ma con la A maiuscola [avanzando] con lo Spirito Santo sull’unica via della preghiera: Cristo Gesù». Perché, ha sottolineato ancora il Pontefice, «non è possibile la meditazione cristiana senza lo Spirito Santo che ci guida all’incontro con Gesù».
Una Rete per pregare
Anche in ambito cristiano, al pari di quanto avviene in altre religioni, ci sono differenti modi di approcciarsi alla meditazione, così come differenti sono le «scuole». Per evitare un’eccessiva dispersione, a partire dal 2018 è nata, a Roma, la Rete sulla via del Silenzio, un network che ha messo insieme le varie esperienze. «La Rete – dice Fabio Colagrande, giornalista di Radio Vaticana, tra gli ispiratori del progetto – è formata da un gruppo di persone che, in maniera informale, ha deciso di mettere in collegamento tra di loro i diversi gruppi che in Italia, in ambito cattolico, praticano la meditazione. Gruppi differenti e non uniformabili nemmeno nel linguaggio, ma che sentivano la necessità di creare rete avendo ben chiari due obiettivi: lo scambio di esperienze e la promozione nella Chiesa di questa tipologia di preghiera». Proprio perché nata informalmente, la Rete sulla via del Silenzio non ha attività strutturate o obiettivi cadenzati: opera in modo abbastanza artigianale, anche per rispettare i tempi dei suoi membri, che possono essere legati a una comunità religiosa o avere una normale vita familiare.
«Per lavoro – continua Colagrande –, anni fa ebbi l’occasione di conoscere Yuri Nervo che, a Torino, nell’ex carcere “le Nuove”, aveva creato un luogo di preghiera aperto a tutti. Qualche anno dopo, mi capitò di leggere il volume Custodia del silenzio, sulla preghiera silenziosa, scritto dall’eremita metropolitana Antonella Lumini con il giornalista Paolo Rodari. In seguito approfondii il tema con Ancor meglio tacendo, un altro libro-riflessione sulla meditazione cristiana scritto dal sacerdote del Cottolengo don Paolo Squizzato. Contattai successivamente, per altre vie, Marco Guzzi, fondatore a Roma del gruppo “Darsi pace”, che pure pratica la meditazione cristiana. E, parlando con ciascuno di loro, compresi che tutti avvertivano l’esigenza di fare rete. Così, nel 2018, facemmo le prime riunioni a porte chiuse: a Roma, in febbraio; a Firenze, a giugno (dove si aggregò anche padre Guidalberto Bormolini); a Torino, a novembre. Sono stati incontri fondamentali soprattutto per conoscerci e, grazie ai rapporti di ciascuno, allargare la cerchia di persone coinvolte. Al termine dell’ultimo incontro a porte chiuse decidemmo di “uscire allo scoperto” con un convegno pubblico il cui obiettivo principale era affermare che anche noi “eravamo Chiesa”». E così nel 2019, a Roma, presso l’abbazia benedettina di Sant’Anselmo, si è tenuto il primo incontro pubblico della Rete, al quale, tra la sorpresa generale (perché non era stato fatto alcun battage pubblicitario particolare), parteciparono ben 150 persone.
Diversità come ricchezza
Sin dai primi colloqui è stato chiaro che la Rete sulla via del Silenzio non aveva alcuna intenzione di uniformare le differenti scuole di meditazione. «Siamo accomunati dal fatto che pratichiamo la preghiera silenziosa e, soprattutto, da una grande fiducia nell’azione dello Spirito Santo, che è la costante più importante di questa modalità di dialogo con Dio – chiosa Fabio Colagrande –. Lo Spirito Santo è la figura della Trinità forse più “trascurata”: il Padre, lo sappiamo, è il Creatore, Gesù è il Dio incarnato, ma lo Spirito chi è? Ce l’ha lasciato Gesù, è vero, ma ignoriamo come “inquadrarlo”. In realtà, dovremmo semplicemente imparare ad ascoltarlo. Per questo, come ripete sempre Antonella Lumini, i gruppi di meditazione non possono essere strutture rigide: devono lasciare spazio all’azione dello Spirito».
«Ci piacerebbe riportare la meditazione cristiana al centro della vita ecclesiale – rimarca ancora Fabio Colagrande –, invitando le persone che lo desiderano a sperimentare questa forma particolare di preghiera. Siamo certi, per esempio, che potrebbe essere molto utile per i giovani, in particolare gli adolescenti, perché anche da un punto di vista pedagogico è dimostrato che l’esperienza del silenzio è importante per la maturazione spirituale». Per questo, a partire dallo scorso mese di febbraio, presso la comunità dei Ricostruttori nella preghiera di San Leonardo al Palco, a Prato, è stato avviato un percorso di incontri mensili dedicati alle differenti scuole di meditazione cristiana: chi lo desidera potrà approcciarsi alle diverse proposte, per poi avvicinarsi a quella che sente più consona. Sempre in ascolto della voce dello Spirito.
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