Il nostro Dio abita la storia
«Egregio direttore, una domenica ho seguito la santa Messa nella chiesa di un piccolo paese della Toscana. In quell’occasione, il parroco, durante l’omelia, ha espresso il suo rammarico e dolore per aver dovuto negare il sacramento della Confermazione ad alcuni ragazzi perché non avevano frequentato il catechismo. Il suo dispiacere, dopo tanti anni di sacerdozio, era ancora più grande per le forti reprimende avute dai genitori dei ragazzi in questione, che non avevano compreso lo spirito sacro della concessione dei Sacramenti. In sintesi, il presule si è sentito solo. Debbo confessare che il suo accorato appello alla comunità mi ha commosso perché ho compreso appieno il suo dilemma. Allora, le chiedo: dove va questa Chiesa? Mi pare che essa, tutta presa dall’accoglienza dei clandestini, sembri non pensare ad altro, soprattutto a recuperare e a far comprendere appieno alle nuove generazioni quei dogmi forti e i sacramenti dai quali non si può mai derogare, solo per ottenere la compiacenza dei fedeli. La Chiesa cattolica non è un social teso a raccogliere i “mi piace” d’approvazione. A me pare che la gerarchia ecclesiastica guardi solo in una direzione e si dimentichi che oggi l’opera missionaria la deve svolgere qui da noi, nelle parrocchie, vicino ai parroci se vogliamo recuperare quel sentimento cristiano che deve contraddistinguere il nostro Paese».
Lettera firmata
Ringraziamo il caro lettore per la sua lettera, molto accorata e che fa trasparire quanto tenga alla Chiesa e alla sua missione. Sono diversi i temi che in essa solleva: l’ammissione ai sacramenti e il loro valore per il cristiano, l’accoglienza dei migranti, l’immagine della Chiesa di oggi. Proviamo a condividere qualche pensiero, soprattutto cercando di mettere in luce alcuni snodi rilevanti. Che cos’è più importante, qual è la missione della Chiesa? Dio, nella sua bontà, ha creato l’umanità a sua immagine e somiglianza. L’uomo, però, ha preteso di fare da solo, in autonomia rispetto a Dio: questa è l’origine del peccato. Tuttavia, Dio non ha mai cessato di amare l’umanità, di offrire la possibilità di tornare in amicizia con lui; in modo unico, irripetibile e compiuto l’ha fatto mandando il suo Figlio, Gesù.
Nella sua vita terrena, Gesù ha proposto a tutti la via per incontrare il Padre e il modo di essere veramente umani, ma è stato rifiutato… questo, però, non ha ostacolato il compimento del progetto di Dio, che invece ha preso la strada del dono totale di sé – per noi e per la nostra salvezza, attraverso la croce e la risurrezione –, reso attuale, poi, con il dono dello Spirito Santo. Proprio i sacramenti rendono presente oggi a noi questo dono! Essi, anzitutto, sono un dono che la Chiesa ha il compito di elargire a chi li chieda con la giusta disposizione: non si tratta di un diritto da pretendere, ma di un dono da ricevere. Da un lato, quindi, è importante che ci sia un’adeguata preparazione per accogliere il dono; è anche vero, però, che si comprende veramente il dono una volta che lo si è ricevuto. Per questo, le condizioni per essere ammessi ai sacramenti, per quanto riguarda la comprensione di ciò che si sta facendo, sono minime.
L’importante è imparare a conoscere Gesù Cristo, entrare in relazione con Lui, amare Dio e i fratelli: è a questo che punta l’intero Vangelo. I sacramenti, potremmo dire con un’espressione usata nel Concilio Vaticano II per la liturgia, sono fonte e culmine di tutto questo. Allo stesso tempo, facciamo attenzione a non assolutizzare i sacramenti in sé: perché il sacramento è «segno e strumento della grazia di Dio», cioè ci permette di entrare davvero in relazione con Dio e con ciò che Lui vuole donarci. Ma è la sua grazia, il suo amore, la relazione con Lui, in definitiva Dio stesso, la cosa più importante!Più entriamo in profondità nella relazione con Dio, più scopriamo che Egli è profondamente rivolto verso l’uomo, che lo cerca, desiderando di essere desiderato, di essere amato… per questo, riconoscendo Dio Padre, vediamo negli altri che incontriamo i nostri fratelli e le nostre sorelle. E siamo chiamati a prendercene cura, specialmente quando si tratta di persone che vivono in situazioni di povertà ed emarginazione.
Mi pare che questo risuoni continuamente nelle pagine del Vangelo e della Bibbia intera. Queste situazioni si manifestano in molte occasioni, a partire da quelle più vicine a noi; non possiamo rimanere indifferenti riguardo alla sorte di tanti che bussano alle nostre porte o alle nostre frontiere. Come possiamo pensare di amare Dio che non vediamo se non ci prendiamo cura del fratello che è davanti a noi (cfr. 1Gv 4,20-21)? Le parole dell’enciclica Deus Caritas Est di papa Benedetto XVI forniscono una chiara visione in merito: «L’intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio, celebrazione dei Sacramenti, servizio della carità. Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro. La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza» (n. 25).
Un’altra questione è quella della compiacenza, un inganno nel quale spesso rischiamo di cadere. Chiaramente è importante andare incontro alle persone (nel senso di volerle incontrare), perché la Chiesa è chiamata ad annunciare a tutti il Vangelo e a prendersi cura dell’umanità nella situazione in cui si trova. D’altra parte bisogna stare attenti a non volere a tutti i costi andare incontro alle persone (nel senso di adattarsi alle loro pretese), perché c’è una rivelazione, un modo con il quale il Signore si è manifestato, che ha le sue esigenze. La Chiesa, fin dagli inizi, ha dovuto affrontare la fatica di tenere insieme diversi aspetti: l’annuncio del Vangelo e la carità, l’attenzione ai poveri e la cura della vita spirituale… Non c’è dunque una risposta univoca che valga in modo totalmente indipendente dalla situazione, ma c’è un confronto con la realtà, nella quale anche oggi, esattamente come ieri, Dio vuole abitare.
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