Dividere: l’altra faccia del cieco potere
Divisivo, ovvero «ciò che crea divisioni o contrapposizioni, impedendo di preservare o di raggiungere un’unità di punti di vista e di intenti», è un neologismo, una parola nuova, intesa con questo significato. Vien da pensare subito che l’aggettivo abbia una connotazione negativa. Non va bene essere divisivi, giusto? Viviamo e prosperiamo e siamo sereni all’interno di buone relazioni, quando sappiamo trovare un’unità di intenti il nostro agire è molto più efficace, non ci disperdiamo nelle polemiche, non ci facciamo piccolissime inutili guerre che dissipano le nostre energie e non ci lasciano niente di importante e duraturo, solo un piccolo gradimento del nostro piccolo ego, quando vinciamo, e naturalmente non sempre si vince.
Invece oggi essere divisivi aiuta a vendere un libro, ad esempio. Ne parlano malissimo o benissimo, si formano i due schieramenti (linguaggio bellico, sentimenti bellici), le persone si appassionano (quel che basta a comprarlo, chissà chi li legge davvero poi quei libri, ma non importa, possiamo controllare la nostra libreria e verificare quanti libri abbiamo acquistato sull’onda della polemica e poi mai letti), e il gioco è fatto. Il gioco commerciale, naturalmente. Vendere. Poi c’è il gioco politico. Essere divisivi è politicamente vincente in una società estremamente distratta (dai social, dalla velocità del nostro vivere, dalla mancanza di spazi coltivati di pensiero) che bisogna sorprendere, afferrare attraverso l’emozione fortissima, l’indignazione, la rabbia e l’aggressività verso un nemico chiaro e distinto. Anche la politica ha bisogno di idee divisive, persone divisive, comportamenti divisivi. I quali hanno bisogno della guerra, per affermarsi.
Ecco, appunto, la guerra, che ci scoppia a poca distanza e che potrebbe forse ricomporre le nostre emozioni intorno al desiderio della pace, cercata con tutti i mezzi: la diplomazia soprattutto, l’impegno politico, le azioni di accoglienza, la preghiera per chi crede. Invece non è così. Ancora siamo sommersi da dibattiti divisivi, titoli di giornali divisivi. E quel che non è divisivo purtroppo sparisce, non lo si vede nel mare delle notizie e delle parole. Semplicemente non c’è. Calma piatta. Le Scritture conoscono la mala arte del dividere. È magnificamente rappresentata nel racconto delle tentazioni di Gesù, quando il diavolo nel deserto prova a separarlo da Dio: «Se sei Figlio di Dio» (Mt 4,1 ss). Diavolo è parola che viene dal greco Δια (cioè attraverso) e βάλλω (cioè gettare). Quindi è termine che sta a significare il mettere in mezzo qualcosa, il separare, e poi, come significato più largo, l’accusare, il ferire, il calunniare. Essere divisivi non è avere idee diverse, è ferire l’altro, provocarne la reazione scomposta perché lo si fa sentire separato, lontano, attaccato. Non c’è pensiero nella mala arte del divisore. C’è la cieca determinazione del potere. Come si fa, allora?
Per la Bibbia il male non è un destino, non è colpa dell’aria che tira, per quanto possa essere un’aria divisiva e feroce come a volte intorno a noi. C’è sempre la responsabilità individuale di mettere in gioco strumenti e parole diversi. Tutti. C’è un potere di vita nelle scelte quotidiane. Chiudere la televisione di fronte a un falso dibattito divisivo. Non acquistare giornali dai titoli divisivi. Imparare a riconoscere la trappola di una battuta in ufficio che ci vuole dividere in fazioni. Oggi non è facile per niente. Bisogna anche studiare, diventare esperti di tecniche di pacificazione dei rapporti, evitare parole di conflitto, si trova tanto e facilmente anche in internet. Perché no?
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