Essere acqua

L’acqua evoca dimensioni essenziali del nostro cammino umano e di fede. È generativa: promuove la vita e la difende. Ci indica la virtù della castità e dell’umiltà, e si dona senza curarsi d’essere invisibile.

Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua, 
la quale è multo utile 
et humile et pretiosa et casta.

Essere acqua

Di suor Marzia Ceschia

Utile, umile, preziosa e casta: sono i tratti della creatura acqua che Francesco d’Assisi coglie nel suo canto di lode. 
Siamo consapevoli della preziosità dell’acqua e di quanto il tema della giustizia implichi anche la questione del buon uso e della comune destinazione di questo bene «multo utile», indispensabile alla vita di tutto il Creato. Nell’enciclica Laudato si’, papa Francesco ricorda che «l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare a essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità» (LS 30). Ci pare quasi ovvio, quindi, affermare che l’acqua è «preziosa». Tale aggettivo negli scritti del santo assisiate e nelle biografie che narrano la sua esperienza è attribuito particolarmente a quel che viene da Dio o a quel che ha contatti col divino.

È d’esempio, a riguardo, un passo della Compilazione di Assisi (cf. FF 1550): vi si racconta che il vescovo di Terni invitò il popolo a onorare il Signore riconoscendo come si fosse servito «di questo poverello, uomo d’umile aspetto e senza cultura [e mostrava con il dito il beato Francesco a tutto il popolo]». Il santo se ne compiacque notando che, diversamente da altri che inneggiavano alla sua santità, l’alto prelato, da «uomo discreto», aveva attribuito la gloria al Creatore separando «la materia preziosa da quella vile», discernendo l’origine di tanto bene. In questa prospettiva, allora, l’acqua è preziosa anzitutto perché viene dall’atto creatore dell’Altissimo. Non tocca quindi all’essere umano stabilirne o quantificarne il valore: ogni creatura, proprio in quanto creata, vale già in se stessa per una preziosità non negoziabile che è segno dell’incommensurabile dedizione di Dio.

In virtù di questo valore intrinseco, ogni creatura è anche utile in quanto fatta per la vita e data per la vita, per servire alla vita. In questo orizzonte possiamo intuire l’umiltà dell’acqua: umile nell’assumere la forma di quanto l’accoglie, l’acqua si adatta. Straripa e si fa violenta quando si ignora di riceverla, ma la si vuole costringere, ridurre a «cosa» da manipolare, sostituendo l’interesse dell’uomo alla libertà di far zampillare sorgenti, polle vitali. L’acqua è umile poiché non copre, non nasconde, lascia trasparire: quel che è toccato dall’acqua resta vero, anzi sanato e purificato da quanto macchia, sporca, oscura. È dunque coerente assegnarle anche l’attributo della castità quale forma di rispetto nei confronti dell’essere altrui, segno di un contatto che più ama quanto più lascia che affiori dell’amato il volto più limpido, più autentico, più suo. 

Lo Specchio di perfezione (FF 1818) nota che Francesco aveva una speciale predilezione per l’acqua, «simbolo della santa penitenza e tribolazione, che lavano le sporcizie dell’anima; e perché il primo lavacro dell’anima si fa per mezzo dell’acqua battesimale». Addirittura, il santo, quando si lavava le mani, «sceglieva un posto così fatto che l’acqua, cadendo, non venisse pesticciata dai piedi». Nella sua sensibilità alle «significazioni» Francesco scorge nelle creature la sollecitudine di Dio e si relaziona a esse con un senso del sacro, ma anche accogliendo una singolare pedagogia. Ogni essere, guardato nella sua singolarità e custodito nella sua possibilità di manifestarla, contribuisce alla nostra formazione spirituale.

Riprendendo in termini esistenziali quanto abbiamo osservato percepiamo che l’acqua può evocare dimensioni essenziali del nostro cammino umano e di fede. Anzitutto la consapevolezza di una fecondità che ci precede: la generatività, ogni potenzialità vitale non è dall’uomo, ma è resa disponibile all’uomo in pura gratuità. La tendenza a impadronirci di quanto ci è donato – come se dovessimo conquistarlo invece che ringraziare – innesca una logica di consumo. Di quel che è mio non sento di dover rispondere ad alcuno, quindi posso trarne tutto il vantaggio che voglio. Questo vale in rapporto alle cose materiali, ma anche in rapporto alle persone. Smarrito il senso del dono, tutto e tutti diventano scontati. Un ulteriore spunto ci viene dal riflettere sull’utilità: ragioniamo spesso oggi in termini di efficienza, per cui utile è quel che ha un riscontro di successo. Nell’ottica di fede – poiché è lo stile di Dio – utile è quel che promuove la vita e che la difende. L’opposto dell’utilitarismo! È un’attitudine che esige la castità, ossia una libertà dall’ansia della compensazione e della gratificazione, e l’umiltà del darsi perdendosi come la pioggia che irrora la terra e non si cura d’essere invisibile, ma d’essere per la bellezza dei prati, dei germogli, dei fiori.

Utile, umile e preziosa. E casta.

I poeti come Francesco lo sanno bene: gli aggettivi sono preziosi, sono la vita delle immagini, l’innesco della visione. Per questo ne attribuisce quattro ben precisi all’acqua. In un «unicum» che parla di vita.

Di Davide Rondoni

Gli aggettivi, lo sanno i poeti come Francesco, sono importanti. Perciò vanno usati con precisione, sono la vita delle immagini, la plasticità del discorso, l’innesco della visione. E la successione con cui il santo onora, tra le creature, l’acqua, illustra tale precisa attenzione. Non va per le lunghe Francesco, e con il primo aggettivo, quell’«utile» asciutto, realista, semplice, introduce l’esperienza elementare che tutti abbiamo di questo bene. Senz’acqua, vita non c’è per l’essere umano, e dunque in quell’aggettivo Francesco situa tutta la necessità, l’essenziale importanza. L’acqua è utile ed è l’unico bene per cui usa questo termine, dopo aver onorato Messor lo frate Sole, fonte del giorno e della vita; la luna e le stelle, «formate» cosí belle, e dopo frate vento il disseminatore della vita.

Vita che – passando a elementi non più sospesi e imprendibili in cielo, a quelli rinvenibili, per cosi dire, nella nostra più normale, feriale, esistenza – non sarebbe possibile senza acqua. Fermata dunque subito nel suo aggettivo primario: utile. E sappiamo oggi quanto lo sia e quanto ne sia necessario un equo e intelligente utilizzo e una attenta custodia. L’uomo medievale come Francesco aveva più evidente tale utilità: né città né coltivazioni potevano sorgere senza la presenza dell’acqua, che oggi a noi pare occulta e disponibile grazie ai nostri prodigiosi marchingegni di pompe tubi e serbatoi. E che allora, nonostante i già potenti sviluppi della tecnologia idraulica, cominciati fin dall’epoca romana, si mostrava più disponibile alla percezione per via di torrenti, fiumi, corsi su cui sorgevano gli abitati, i monasteri, le case in villa, cioè in campagna.

Acqua utile e, con figura retorica di paronomasia (figura retorica per la quale si accostano due parole di suono simile o uguale ma di significato differente, ndr), umile. Poteva mettere un altro aggettivo Francesco, ma egli dimostra qui la sua mens poetica. Il primo «chiama» infatti il secondo aggettivo, quasi per consonanza. Eppure anch’esso è preciso. Umile è l’acqua, nel senso di semplice, di disponibile. E sorella per umiltà a tutto quanto di umile (cioè vicino alla terra, all’humus e dunque veramente fertile) vi è nell’esperienza francescana. L’umiltà di Francesco, infatti, del «piccolino» come si denominava, del «minore», non è infatti la posa di chi si abbassa o di chi non intende primeggiare, ma di chi si fa humus, fertile. Acqua, appunto, che irrora e irriga. Preziosa, dunque. E come potrebbe esserlo una cosa umile, se non fosse fertile? Dove sta la preziosità dell’acqua? Esattamente nei due aggettivi precedenti! Utile e umile, e perciò preziosa. 

Poi l’ultimo aggettivo: casta. E qui, con un colpo da maestro, il poeta e santo ci fa venire il sospetto che sta sì parlando dell’acqua, ma anche di una quasi persona-acqua. Questo, infatti, è l’unico aggettivo che personifica direttamente l’oggetto acqua, indicando la castità, esperienza tipicamente umana, come sua caratteristica. E così facendo ci obbliga a rileggere anche i precedenti tre, in un certo senso, come personificanti l’acqua. E se di acque e di aggettivi intorno a essa siamo pieni nella Bibbia e nei grandi libri antichi, direi che l’attribuzione di «casta» è un unicum, anche se le aggettivazioni e figurazioni femminili, ovviamente, abbondano. Ma che cosa è la castità dell’acqua? Forse, azzardo, sta nel suo essere a servizio, cioè nella capacità che essa ha di favorire la vita di ciò che irrora, senza tenere nulla in cambio, senza esser ricambiata. Come la castità umana è un amore rispettoso, così l’acqua, per Francesco, è colei che ama rispettosamente ciò che aiuta a fiorire.

Ode alla vita semplice

Se torno a cercarti è perché in molti volti
Ho perduto la mia vita e non aveva più odore.

Abbiamo pensato al dominio per lungo tempo.
Alla fortuna di abitare ovunque
senza strappo da qualsiasi incastro
da qualsiasi incastro per l’anima
salvezza.

Ma se il mondo è un pensiero nella mente
sfatta di sogni che tramontano, non più mente
ma inciampo su di sé, tutto scompare
le nostre storie se ne vanno da qui,
magma di sale e plastilina.

Se ne vanno i rifugi segreti
le paure che non si possono dire
il cimitero da visitare in silenzio e il mare
in inverno, per scappare.

Scompaiono i miliardi di anni
che qualcuno ha tenuto nella mano
e noi siamo arrivati ad abitare
dentro case piccole, con pazienza e amore.

Scompare la voce di mia madre
Dal balcone della camera da letto,
quando chiamava per rientrare la sera
scompari tu che amavi la foresta

nel vortice indistinto del tutto.

Flaminia Colella


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Data di aggiornamento: 04 Giugno 2024
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