Il respiro che genera

Tra cielo e terra, il vento, che Francesco non evoca nei suoi aspetti distruttivi, fa vibrare la vita in «ogni tempo», sostenendo la spinta all’essere, per mandato stesso dell’Altissimo, a servizio del Dio della vita.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento 
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, 
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

Il respiro che genera

Di suor Marzia Ceschia

Nel suo sguardo riconoscente nei confronti del Creato, Francesco coglie in frate vento il richiamo alla dinamicità e alla tenacia della vita. Il vento è creatura inafferrabile, che non si può imbrigliare ma di cui si colgono, si vedono e si sentono gli effetti. Non a caso all’immagine del vento è associato di frequente, nella Scrittura e negli scritti di tanti autori spirituali, il movimento dello Spirito, che suscita fecondità e risorse nuove nell’anima del fedele, che trasfigura chi ne è abitato e investito, che purifica, che attrae: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8). 

Il vento – quante volte l’avrà sperimentato Francesco quando si ritirava in preghiera nelle selve! – sconquassa e raccoglie, diffonde i pollini e con essi una potenza vitale. Muove le nubi, è un estroso regista nel cielo, capace di oscurare l’azzurro e di aprire ampi spazi di sereno. Il santo assisiate non menziona animali nel suo Cantico, occupandosi quasi di richiamare le coordinate che disegnano uno spazio adatto ad accogliere l’esistenza, ma sappiamo dalle fonti con quanta tenerezza guardasse agli uccelli: esseri «ventosi», alati, il cui canto è lode al Signore e ai quali predica e dai quali è ascoltato. Tra cielo e terra il vento – non evocato dal santo nei suoi aspetti distruttivi – fa vibrare la vita in «ogni tempo», sostenendo la spinta all’essere, per mandato stesso dell’Altissimo, a servizio del Dio della vita. Respiro che genera. Memoria di quella ruah che, in principio, quando la terra era «informe e deserta», «aleggiava sulle acque» (cfr. Gen 1,1-2). Respiro che anima. Libertà che crea: autentico senso dell’essere liberi! Possibilità che il Signore può suscitare sempre! È denso di significato quell’onne tempo, a confermare la fedeltà del Signore nei confronti delle sue creature: in ogni tempo è Colui che provvede, ogni situazione atmosferica ed esistenziale dischiude la Sua sollecitudine. 

Non è, quello dell’assisiate, un ottimismo ingenuo, ma è l’esito di una radicale interiorizzazione del senso della Croce, essa stessa da Dio resa «albero di vita», secondo un’immagine cara anche al francescano Bonaventura da Bagnoregio. Abbiamo già avuto modo di soffermarci sul contesto nel quale Francesco ha modulato il Cantico, un tempo di prova fisica e spirituale negli ultimi due anni della sua vita. Anche quella fase così dolorosa rientrava in quell’«onne tempo»? Anche quella stagione nascondeva germogli fecondi? Del dono del tempo egli aveva assunto profonda consapevolezza.

Tommaso da Celano racconta che da quando aveva cominciato «ad aderire strettamente al Signore, non volle perdere nemmeno una particella di tempo» (Vita seconda: FF 743) ed esortava i suoi compagni a non cedere all’ozio, «nemico dell’anima», che contribuisce a spegnere «lo spirito della santa orazione e devozione» (Regola bollata: FF 88), che distoglie dal percepire la presenza di Dio. «Niente dunque ci ostacoli, niente ci separi, niente si interponga a che noi tutti, in ogni luogo, in ogni ora e in ogni tempo, ogni giorno e ininterrottamente crediamo veracemente e umilmente e teniamo nel cuore e amiamo, onoriamo, adoriamo, serviamo, lodiamo e benediciamo, glorifichiamo ed esaltiamo, magnifichiamo e rendiamo grazie all’altissimo e sommo eterno Dio, Trinità e Unità, Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose e Salvatore di tutti coloro che credono e sperano in lui e amano lui […]» (Regola non bollata, FF 71). In ogni tempo: è connotazione propria della fede autentica in Colui che è «creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro» (Orazione sul «Padre nostro», FF 266) e che non viene meno alle sue promesse. 

Le stagioni, i ritmi del vento nelle loro diversità e anche nei loro contrasti sono coerenti e connessi nella tensione a preparare la vita. Ogni fase della nostra esistenza è segnata dalla cura paterna e materna del Signore, dalla sua carità, dal suo volere «che tutti siamo salvi per mezzo di lui» (Ai fedeli, II, FF 184), che siamo pienamente vivi. In onne tempo ci dà sostentamento. La creazione ne è risonanza e insieme, per noi, monito e memoria. Comprendiamo allora l’atteggiamento di Francesco, sensibile a percepire ovunque una amorosa Presenza: «Con il fervore di una devozione inaudita, in ciascuna delle creature, come in un ruscello, delibava quella Bontà fontale, e le esortava dolcemente, al modo di Davide profeta, alla lode di Dio, perché avvertiva come un concento celeste nella consonanza delle varie doti e attitudini che Dio ha loro conferito» (Leggenda maggiore, FF 1162).

Il poeta e il vento

Di Davide Rondoni

Frate ventu, come lo chiama Francesco che lo insegue con lo sguardo della poesia, è movimentatore e disseminatore della vita, ma anche segno della Vita che risponde alla vita. 

Francesco è un uomo attento, un poeta che osserva. Non solo il cielo coi suoi grandi segni, ma anche la terra. E vede, comprende che quella strana forza invisibile, che muove i capelli dei suoi amici, che agita e fa soffiare i boschi, che leggiadro o impetuoso scuote, dissemina, sparge, è appunto la forza che mette in moto la vita. Il vento. I suoi movimenti li vede come sostentamento del vivente, come diffusore di vita, come segno dello spirito certo e come materialissimo soffio vitale. L’anima è un soffio, lo Spirito è Dio che alita sulla terra e sulle acque. E il vento sarà in tutte le grandi narrazioni religiose dell’umanità un segno della presenza del divino vivificante e perturbante, che sia il vento del passaggio di Hermes o quello che Leopardi, richiamando la storia del profeta Elia fuori dalla caverna, ode «stormire tra le fronde» come segno e voce dell’«infinito silenzio».

Come un guerriero cerca il fiato per combattere, anche il genio cerca il vento, lo spirito, il fiato per sostenere la sfida della realtà: perché esiste invece di non esistere? Perché Dio usa il suo fiato e manda il vento per dare loro «sostentamento», spargendo semi pollini e nel sereno e tra le nubi e con ogni tempo, con ogni situazione meteorologica, perché, insomma, l’Altissimo scioglie la corsa del vento tra acque erbe foreste e rocce a disseminare la vita? Ecco la sfida per noi che spesso non siamo Francesco, il cui occhio direttamente collegato al cuore insegue il vento con lo sguardo della poesia, e subito dopo la lode per sole e luna e stelle, si arrende allo sproposito di lodare le creature lodandone il creatore, e indica Frate ventu come primo protagonista in terra. Passaggio fondamentale, specie per comprendere l’attitudine a un tempo contemplativa e poetica di Francesco. Forse in una ipotetica scala delle creature non ci sarebbe venuto in mente il vento come primo elemento dopo sole luna e stelle. Eppure, che esattezza, ancora una volta! 

«Che fa l’aria...» si chiede il poeta del Cantico Notturno, quel Giacomo Leopardi che assiste al volgere dei mondi, dei pianeti in un suo straziato personale Cantico delle creature. E che in quel testo, che conosciamo come La ginestra, invita l’essere umano a stare nel gran teatro della natura come un «mendico». Parola francescana. Il vento è invisibile, se ne vedono i segni... La poesia di ogni epoca ha interpretato il vento, lo ha cercato, lo ha cantato. Meravigliosa, ad esempio, è l’immagine del vento presente nella poesia di Mario Luzi dedicata alla notte dei Magi. La voce del poeta fiorentino dapprima sente il vento quasi come sospensione, come segno di un tempo inquieto personale e generale: Notte, la notte d’ansia e di vertigine / quando nel vento a fiotti interstellare, / acre, il tempo finito sgrana i germi / del nuovo, dell’intatto, e a te che vai / persona semiviva tra due gorghi / tra passato e avvenire giunge al cuore / la freccia dell’anno… e all’improvviso / la fiamma della vita vacilla nella mente. [...]

Seguendo il vento, il poeta arriva in quella notte. «In una notte, in una notte come questa/ l’anima mia...». E sarà «questo vento di mutazione» a esser segno del Prodigio della nascita. Ma da sempre, fin nella poesia antica, il vento appare come segno e messaggero. Certo Francesco aveva poesie o canzoni che venivano dalla bocca della madre, dal repertorio trobadorico che rimaneggiava quello antico. Ma il vento è anche quello che, secondo Dante, nel bellissimo ritratto che egli fa di Paolo e Francesca, domina e porta in direzione dispersa le anime degli amanti che sottomisero la volontà alla passione. Il vento è anche quello che fa increspare le onde del mare a cui Montale teme d’affidarsi. Ed è il vento, ancora in Dante, quello di Ulisse, che fa dei remi ali per un volo che è folle non per il suo desiderio sacrosanto di superare il limite, ma per il metodo idiota (faccio da solo, mi basto, sufficit la mia barchetta minima) per la traversata. 

Il vento per Francesco è invece come un seminatore di vita. In questo, il vento, che è oggetto di benedizione nel testo, non è contrario al vento di Paolo o di Ulisse. La passione e la sete di conoscenza sono per così dire venti interiori che possono seminare vita . Non sono in se stessi negativi questi venti che movimentano l’esistenza umana nelle sue forme. Poi dipende da metodo e scopo con cui si legge e da che viaggio si vuole fare e che cosa si cerca. E se la risposta «è nel vento» come canta Bob Dylan, significa che Frate ventu, come lo chiama Francesco, è movimentatore della vita, disseminatore di essa, ma anche segno della Vita che risponde alla vita.

Ode all’inquietudine

Ti ringrazio, Signore,
per la nostra
inquietudine, per la voce
che sale dal mare e chiede 
sempre di cercare,
per il tutto
che mai sazia, per il nulla 
che scalza la nostra
pretesa d’onnipotenza
e accende in noi i segni
della tua presenza.

Carola D’Andrea


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Data di aggiornamento: 20 Maggio 2024
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